lunedì 2 febbraio 2009

Discromia applicata

(Gurrado per Quasi Rete)

Va bene Reggina-Roma, ché una è amarantina e l’altra è (giallo)rossa; ma anche un daltonico bendato sarebbe in grado di distinguere le maglie di Inter e Torino. Per chi non lo ricordasse, tramortito dalla girandola cromatica di questo secol reo, la prima è nera e azzurra a strisce verticali: d’un nero e d’un azzurro che hanno abbandonato la tonalità squillante dei tempi di Matthäus, quando gli scudetti venivano vinti sul serio, e che tendono a incupirsi vieppiù durante l’inverno, quasi che la fanghiglia di San Siro ardisca specchiarsi sul petto dei giocatori. La seconda invece è tutta granata, d’un granata non più luminoso come ai tempi di Leovegildo Junior né rubicondo come ai tempi di Toni Polster né intenso come ai tempi di Luis Müller: un granata che giorno dopo giorno s’intristisce e pare voler tendere all’amaranto, forse per uniformarsi alla Reggina e al Livorno non soltanto nel mesto destino in classifica.

Fatto sta che una cosa è certa: nerazzurro e granata sono colori piuttosto distinti, tanto più che la divisa ufficiale prevede i calzoni neri per l’Inter e le mutande bianche per il Torino. Non c’è pericolo di confondersi. Quindi non c’è nessuna ragione al mondo per cui a San Siro il Toro debba presentarsi in tenuta completamente bianca, rinunciando proditoriamente alla divisa gloriosa che fu di Zaccarelli, che fu di Gabetto, che fu di Baloncieri.

Tanto per dire, un paio di canali più in là – fra i novecento e oltre della piattaforma Sky, sul telecomando più babelico che mai mente umana poté concepire – va in onda il derby del Tyne and Wear (nientedimeno) fra Newcastle, in casa, e Sunderland, in trasferta. Sapete com’è la divisa del Newcastle? Bianca e nera a strisce, con calzoni neri. Sapete com’è la divisa del Sunderland? Bianca e rossa a strisce, con calzoni neri. Sapete quale delle due squadre ha deciso di accantonare la divisa originaria in favore di quella di riserva? Nessuna delle due, nemmeno per idea. Sapete come si faceva a distinguere a colpo d’occhio i giocatori del Newcastle da quelli del Sunderland, nelle panoramiche? I primi erano voltati da una parte, i secondi dall’altra, tutto qui.

Temo che la troppo facile rinunzia alla divisa vera contribuisca a un più generale atteggiamento remissivo sul campo. Non per niente si parla di attaccamento alla maglia. Se la maglia dell’Udinese diventa gialla, se quella del Bologna diventa nera, quella della Fiorentina grigia, quella della Lazio blu notte – come si fa ad attaccarvicisi?

Certo: per uccellare a domicilio la Juventus, sabato sera, il Cagliari s’è dovuto travestire da Liverpool (o da Middlesbrough, come insegnano le vecchie confezioni di Subbuteo). E se ieri il Torino si fosse presentato nel granata d’ordinanza, invece che con maglia e pantaloncini bianchi, Ivan Ramiro Cordoba non avrebbe scambiato Rolando Bianchi per un farmacista di passaggio nel bel mezzo dell’area di rigore, e avrebbe tentato di ostacolarlo in qualche modo invece di lasciarlo colpire indisturbato (vive in Italia da meno anni di Bersani, Ivan Ramiro Cordoba, ma forse ha imparato prima di lui che farmacisti e tassisti è meglio lasciarli agire indisturbati).

Ma resta il fatto che, per tutto il primo tempo, il Torino abbagliato dal proprio stesso candore ha rifiutato di inseguire viscide palle che slittavano mollemente verso le linee laterali (e Zaccarelli? e Gabetto? e Baloncieri?). Altrettanto l’Inter – stentando a riconoscere un avversario che ha vinto sette campionati, di cui quattro di fila, più uno revocato – ha ritenuto opportuno passeggiare infingarda nell’attesa del goal che, si sa, bene o male prima o poi arriva. Arrivare è arrivato, solo a salvarla dal peggio inizialmente neanche messo in conto; tuttavia sulla fanghiglia di San Siro, sotto il nevischio di Milano, ieri c’erano in campo ventitre scudetti e non se n’è visto mezzo.

E poche risate sul derby del Tyne and Wear, signori. Sapete quanti campionati inglesi ha vinto il Newcastle? Cinque. Sapete quanti ne ha vinti il Sunderland? Otto. E di là dalla conclamata mediocrità delle due squadre d’oggidì, ieri al Magpie Park sono stati riversati in campo tutti questi tredici scudetti: distinguibilissimi nella foga con cui, a meno di cinque minuti dal termine, a fronte di un pareggio che non scontentava nessuno, di qua e di là tizi e caii si lanciavano a evitare rimesse laterali e dal fondo, schiantandosi contro pali e cartelloni pubblicitari, con la bava alla bocca e non accettando di tirare indietro la gamba, condire il pareggino, non onorare nemmeno per un attimo la maglia a strisce bianche e rosse o nere che pervicacemente avevano rifiutato di smettere, negando l’evidenza di una certa confusione cromatica.

Il calcio passa anche, passa soprattutto, da questi dettagli poco strillati; e in vista del triplo confronto angloitaliano in Coppa dei Campioni, be’, la nostra bizantina mollezza, la nostra cromatica scelleratezza, promette poco e niente.

Nel frattempo prendo atto che in serata il Milan (rossonero) ha sconfitto con facilità irrisoria una Lazio (biancoceleste) dalla quale è stato inizialmente dominato, avendo nobilmente deciso di estendere lo sciopero di un quarto d’ora, concordato con l’Associazione Calciatori, all’intera durata del primo tempo. A un certo punto della ripresa, a partita abbondantemente impacchettata, un pallone alzato a campanile precipita carico di spleen verso le sovraffollate panchine. Sapete chi si lancia ad evitare il fallo laterale, come se da ciò dipendessero le sorti dell’universo mondo, con una spaccata degna della miglior Heather Parisi? Sir David (Robert) Beckham, suddito e baronetto di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra. Abbiamo ancora tanto da imparare, avremo sempre tanto da temere.

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