La lettera A, dunque. In poco meno di cento pagine, al ritmo di due fitte colonne a pagina, presenta 363 voci. La struttura è solitamente questa: luogo e data di nascita; professione (fra le quali spiccano: politico, giornalista, cantante, camorrista); un proclama icastico, il più delle volte a firma del catalogato medesimo, che ne riassuma in poche parole l’essenza; la sezione “Ultime”, che anticipa la sezione “Vita” quando qualcuno ha fatto le cose in grande nei due anni trascorsi dall’ultima edizione del Catalogo; dopo di che la sezione “Frasi” riporta aforismi (anche involontari) del singolo catalogato e testuali giudizi altrui; all’occorrenza si aggiungono le sezioni “Politica”, “Religione”, “Vizi”, “Tifo”, e quant’altro.
La voce d’apertura, quella appunto su Abatantuono, pare messa lì apposta per dettare il ritmo a tutte le altre, ed è una vera e propria biografia professionale e umana in sedicesimo; rende edotti dei più significativi fra i dettagli insignificanti e fa finire per voler automaticamente bene al catalogato. Proseguendo indefessi la lettura integrale della lettera A, si registrano delle considerazioni ardite di Alfonso Signorini sulle pudenda di Accorsi Stefano; si apprende che Adinolfi Mario ha partecipato ai mondiali di poker; si ritrovano teorie complesse felicemente sintetizzate in una riga soltanto (ad esempio: Agnolin Luigi è “da sempre contro la moviola in campo”); si prende coscienza della crisi d’identità di Albanese Antonio, secondo il quale “fra tutti quelli che conosco sono la persona che mi somiglia di meno”; si tenta inutilmente di ricordare chi sia il mago Alexander, ché se è catalogato un motivo dovrà pur esserci; si compiange la povera Alice, ormai ridotta a otto righe miserelle; si scopre che il cognome di Alexia è Aquilani; si accompagna Aragozzini Adriano da dichiarazioni autoelogiative (“Il sottoscritto ha fatto cantare a Sanremo (…) il meglio del mondo”) a repentini ritorni alla dura realtà (“Condannato nel
Quando spuntano opere che intendono catalogare qualsiasi cosa secondo criteri oggettivi che si traducono in scelte dimensionali, è molto difficile resistere alla tentazione di contare, misurare e paragonare – tanto più che una pubblicazione tanto curata fa sospettare che nulla sia lasciato al caso. Io non ho resistito affatto e ho contato che, su scala assoluta, ci sono 10 Agnelli, 8 Berlusconi, 10 Conti, 5 Cordero (di cui 4 di Montezemolo), 9 Costa, 15 Ferrari, 9 Fontana, altrettanti Giordano, 8 Leone, 7 Moratti (con Letizia più lunga di Massimo), 4 Prodi, 7 Romano (con Sergio più corto di Olindo), 9 Russo, 7 Savoia e ovviamente Rossi a profusione,
Però i conticini su scala relativa sono più divertenti e inducono ad abbandonarsi a un certo sadismo cullato su giustapposizioni grafiche o squillanti associazioni d’idee. Argento Asia e Argento Dario hanno lo stesso spazio, come pure Baccini Francesco e Baccini Mario. Ballan Alessandro, campione del mondo di ciclismo, non ha una riga in più di Balotelli Mario, interista alle prime armi; in compenso Basso Ivan è lungo la metà di Cunego Damiano. Arbore Renzo è il doppio di Boncompagni Gianni; Baudo Pippo la metà di Bongiorno Mike; Buongiorno Giulia la metà di Forleo Clementina. Alle volte si rasenta la follia: ad esempio scoprendo che Cappelli Gaetano è più breve di Carcasi Giulia (mah). Chiambretti Piero è più lungo di Chiamparino Sergio. Cossiga Francesco è il doppio di Ciampi Carlo Azeglio. Fazio Antonio è leggermente più breve di Fazio Fabio, e Floris Giovanni è la metà di Santoro Michele. Galasso Giuseppe, grande storico, è niente in confronto a Galasso Pasquale, discreto camorrista. Milani Maurizio è il quadruplo di Milani Mino. Gelmini don Pierino supera Gelmini Mariastella, Lippi Marcello surclassa Lippi Claudio, Riina Totò supera nettamente Provenzano Bernardo. Prodi Romano ha poco meno di cinque pagine, Veltroni Walter poco di più.
La voce più estesa è prevedibilmente dedicata a Berlusconi Silvio, che supera le 9 pagine: 4 di “ultime” a fronte di 3 di “vita”. Se ne deduce che ha avuto un anno intenso. Se ne deduce altresì che questi viene considerato il prototipo di super-Italiano, visto il taglio del volume: il quale, con la maniacale elencazione delle caratteristiche peculiari di celebrità difformi a migliaia, intende tratteggiare in maniera rapsodica e quasi dadaista un’istantanea-mosaico che ritragga
Fosse stato un saggio sistematico, avrebbe forse impiegato molte meno pagine per conseguire risultati simili ma ci si sarebbe divertiti decisamente di meno e non si sarebbe verificata la sindrome da ciliegia, per la quale una voce tira l’altra. Rifacendosi in pieno alla grande tradizione settecentesca dei dictionnaires, ovvero a quando gli Illuministi inventarono l’ipertesto, il Catalogo punta visibilmente ad accattivarsi il lettore con pari dispendio di sostanza e lustrini, e invita ciascuno – più che a dominare le pagine consultandole – a perdersi nel tentativo di costruirsi un suo percorso salubre e ozioso come una lunga passeggiata senza meta.
Bisogna saper leggere il Catalogo fra le righe per penetrare nella psiche dei catalogati; ad esempio ove dice, nell’ordine, che Lotito Claudio “ama la parola avulso” e ha un figlio. Si deve sorridere degli scherzi dell’alfabeto, che creano curiosi accostamenti: Frassica Nino, diventato celebre come Frate Antonino da Scasazza, precede immediatamente Frate Elia degli Apostoli di Dio. Alcuni riferimenti incidentali sono di perfidia assoluta – “Caduto Prodi (vedi Mastella Clemente)” – e talvolta capita qualche piccolo sbracamento sul gossip come nella biografia di Siriana Silvio, dove si parla per lo più di transessuali. Quella di Villari Riccardo, aggiornata come tutte al 5 ottobre 2008, risulta ovviamente monca della sua parte più avventurosa e nota. Vengono svelati il mistero per cui D’Alema Massimo non usa l’orologio e la leggenda secondo la quale De Crescenzo Luciano non usa i soldi. Viene fuori che non solo Fede Emilio, ma anche Bossi Umberto e Ferrara Giuliano hanno cambiato la squadra per cui tifano; e che Filippi Alessia, (adorabile) nuotatrice professionista, ha terrore del mare. Baudo Pippo spara alto: “Sono un cattolico come Benedetto Croce”. Per Baggio Roberto nel settore “Vizi” è catalogato il buddismo. A un processo contro Vincino fu chiesto di far testimoniare il Papa.
Personalmente ho trovato il Catalogo estremamente utile a capire finalmente che Casalegno Elinoire e Caldonazzo Nathalie sono due persone diverse, e a esprimere entusiasmo per le righe dedicate a Buzzi Aldo, scrittore lombardo che viaggia ormai verso i 99 anni d’età. Ero convinto che Patruno Lino fosse il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, e invece pare che sia un cabarettista, già membro de I Gufi. Il Catalogo in fin dei conti gioca con le identità di una Nazione in crisi, appunto, di identità. Ci sono quelle incerte: “Ferrante Elena. Scrittrice (scrittore? Domenico Starnone? Goffredo Fofi?)”. Ci sono quelle mitologiche – note, come Ultimo, uno degli sbirri che catturarono Riina, e ignote, come Unabomber: Zornitta Elvo ha una sua voce a sé stante, per fortuna. C’è Zappacosta Pierluigi, l’inventore del mouse. C’è un cavallo, Varenne, che non sfigura frammezzo a 7246 esseri umani: la sua biografia è visibilmente più lunga di quella di Varriale Enrico, tanto per dirne una. Nemmeno il Catalogo è al corrente della misteriosa data di nascita di Langone Camillo.
Ovviamente in un’opera di respiro mastodontico gli errori sono inevitabili e quasi giustificabili. Ad esempio non si capisce bene perché Elio delle Storie Tese sia stato catalogato alla voce Belisari Stefano, Facchinetti Roby alla voce Pooh, Linus alla voce Linus e Luxuria Vladimir alla voce Vladimir Luxuria. Di Trinca Jasmine si dice che è stata lanciata col Caimano, quando invece era La stanza del figlio. Quagliariello Gaetano perde tragicamente la “i” dal cognome. Alle elezioni del 2008 parrebbe che si fossero presentati i Ds, e questo è abbastanza grave.
Gravi o giustificabili quantunque, non darei gran peso agli errori: il Catalogo dei viventi è molto più di un’opera di consultazione. Per quanto curata anche da Massimo Parrini con la collaborazione di una schiera di valentissimi ricercatori e compilatori, l’operazione resterà inevitabilmente legata al nome di Giorgio Dell’Arti. Ne ricalca lo stile micro-plutarcheo che era emerso anni fa con i suoi articoli in pillole per Sette, che persiste tuttora nella sezione “altri mondi” della Gazzetta dello Sport e che regola mirabilmente il Foglio rosa di ogni lunedì. Con la sua capacità di andare al succo del superfluo e di trovare nell’incontrollabile varietà delle vite celebri un aneddoto, una spia, una virgola di minimo comun denominatore, Dell’Arti ha prodotto un Catalogo in grado di far specchiare nel molteplice e nell’irraggiungibile vizi e virtù di tutti gli Italiani – a riprova che anche de te fabula narratur.
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