giovedì 5 marzo 2009

L'ultimo nipotino di De Sade

(Gurrado per Il Sottoscritto)

Ha un bel dire Northrop Frye che il critico deve impostare scientificamente il proprio lavoro, evitando di esprimere dei giudizi di valore su base soggettiva (tradotto in soldoni, “mi piace/non mi piace”, oppure “Shakespeare è il più grande autore anglofono”, o “Philip Roth è il mio autore preferito”, etc.). Con Friction invece io cado in pieno conflitto d’interessi perché il romanzo d’esordio del giovane Joe Stretch chiama direttamente in causa due fra i miei autori preferiti – Anthony Burgess e il Marchese de Sade – così che il mio giudizio critico non possa istintivamente prescindere da questi ingrati paragoni.

Burgess, a dire il vero, viene chiamato in causa dalla copertina più che dal romanzo, sulla debole base che Stretch sia di Manchester come Burgess, e che quindi il suo romanzo debba essere considerato (cito dal lancio) “un’Arancia Meccanica per il XXI secolo”. Questo, presumo, anche in virtù di un malinteso utilizzo della violenza – contenutistica e linguistica – che dovrebbe accomunare Friction con il lavoro più noto (non il migliore) di Burgess. Basterebbe leggere il romanzo di Stretch per rendersi conto che non ha niente a che spartire con Burgess, a cominciare dalle forzature linguistiche, che nel suo predecessore erano parodie di forzature venate di semantemi sovietici e che invece in Stretch sono, be’, forzature e basta.

All’atto di comporre Friction Stretch aveva 25 anni, ma avrebbe benissimo potuto averne 15, come dimostra egregiamente uno specimen casuale della sua prosa: “Che incubo del cazzo (…) A proposito, sono nella merda”, e così via. E dire che la Feltrinelli ha sistemato in bell’evidenza, in quarta di copertina, l’estratto della recensione da The Independent, ove si specifica – a mo’ di excusatio non petita – che Friction “non segna l’arrivo di un nuovo provocatore ma la nascita di un promettente scrittore satirico”. L’affidabilità di quest’affermazione è lesa non solo dall’esempio di eloquio di cui sopra, che vi garantisco uno fra tanti, ma anche dall’evenienza che il nome del quotidiano inglese sia scritto (in quarta di copertina, da una grande casa editrice) con lo spelling sbagliato, con una i al posto della prima e.

Se cerchiamo infatti di allargare lo sguardo dal contenuto del romanzo (e dalla sua forma: tendenzialmente coincidono) alla confezione del prodotto editoriale, notiamo che Friction è assolutamente provocatorio, e in maniera per lo più vacua e ritrita, nelle sue prime cento pagine circa, poi forse l’editor si è svegliato, o l’autore ha trovato la sua strada dopo un fuoco di fila di tentativi a vuoto.

Nel primo terzo del romanzo Stretch si pone sullo stesso livello di un altro romanzo sopravvalutato non solo dagli editori ma anche dall’autore stesso nell’atto di scriverlo, ossia Politics di Adam Thirlwell, tradotto con titolo immutato da Guanda. Non so se si frequentino (uno è a Manchester, l’altro a Oxford, sono abbastanza lontane), ma Thirlwell e Stretch condividono una forzata disinvoltura nel trattare l’argomento-sesso, e fin qui è ragionevole, ma soprattutto un’indefessa ricerca della struttura romanzesca a sensazione, e qui sinceramente irritano entrambi. Friction sarebbe indubbiamente stato un romanzo migliore se Stretch avesse lasciato perdere la cornice metanarrativa, che porta con sé tutta una serie di imbarazzanti prologhi o interpolazioni nel cui corso il narratore infila le allocuzioni che indirizza al lettore, del tipo: “Tu sei tu e io sono io. Né tu né io siamo Steve.” Politics non valeva la pena di leggerlo, ahimé; vale la pena di leggere Friction? Anzi, vale la pena di superare le prime cento indigeribili pagine?

Forse sì, alla fine: la trama si risolleva quando assume un andamento più sadiano. A differenza del parallelo con Burgess, precotto e indegno, quello con Sade è più ragionevole in quanto suggerito dall’autore stesso: anzitutto con la scelta di chiamare Justin il protagonista, quindi col delineamento di una società basata sull’erotismo meccanicistico, infine anche con argute citazioni (spero volontarie) come quella di un personaggio che si eccita solo mettendo incinta la sua partner e poi facendola abortire, esattamente come un personaggio secondario delle ultime pagine de La Nouvelle Justine.

È intimamente sadiana la ricerca individuale e progressiva del piacere da parte dei vari personaggi, oltre all’abortista Colin, in particolare la giovane e bella Carly che, alla ricerca di un orgasmo continuativo garantito da una macchina penetratrice, si riduce a una larva bruciacchiata che continua ciò nondimeno a implorare la restituzione dell’inanimato “tesoro mio”; e ovviamente Justin il quale, ereditata una somma inverosimile, decide di spenderla alla ricerca di nuove maniere di fare sesso, smontando e rimontando a piacimento il giocattolo riproduttivo.

Colin, Carly e Justin affascinano, ma purtroppo non sono gli unici personaggi di Friction. Ce ne sono almeno altri tre che fungono da zavorra, spostando altrove il baricentro di un romanzo in fin dei conti breve – 300 pagine per sei storie individuali sono poche. Nei filoni secondari Stretch si tradisce e punta dritto sulla satira di costume, che gli riesce fino a un certo punto, e che soprattutto sottrae credibilità alla triplice ricerca di Colin, Carly e Justin, che può essere così sintetizzata: riportare l’atto sessuale a un’innocuità anestetizzata (Colin), prolungare il piacere al di là del principio di dolore (Carly), sottrarsi alla coazione a ripetere con cui il sesso inchioda l’uomo alla sua animalità di fondo (Justin). Questi tre principi sono rintracciabili in Sade, soprattutto ne La Philosophie dans le Boudoir; ma lì intanto funzionavano in quanto erano supportati da una solida base teorica e materialistica che prevedeva l’unico possibile sollievo dell’essere umano nell’atto di décharger, scaricarsi, che è evidentemente qualcosa in più che avere un orgasmo e basta. La satira di Stretch invece sposta il punto focale del romanzo, dequalifica il fondo teorico della disperata ricerca di Justin coi suoi epigoni, e – quel che è peggio – sottrae l’interesse o la curiosità del lettore dalle pagine che nelle intenzioni dell’autore sarebbero state il punto forte di Friction.

Stretch è ancora giovane, quindi va indubbiamente atteso alla seconda prova, ma la prima è sufficiente a far capire che non sarà mai un Burgess, figuriamoci un Sade.

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