giovedì 3 settembre 2009

Scavo nella propria instabilità

(Gurrado per Il Sottoscritto)

Arrivato al quarto capitolo di Dolorose considerazioni del cuore, nel punto preciso in cui la protagonista narra della sua storia parallela con due giovanotti parigini nel mentre che il legittimo fidanzato è rimasto a soffrire a casa, qualcosa all’improvviso mi ha ricordato Michel Houellebecq. Era, ammetto, l’ultima cosa che mi aspettassi. Come sembra lampante anche già da un primo sguardo superficialissimo, Sandra Petrignani non assomiglia affatto a Houellebecq nella maniera di impostare i propri libri né di trattare i propri personaggi (per tacere di differenze ben più evidenti). Né era l’ambientazione parigina della porzione in questione che mi aveva suggestionato: il parallelismo toccava un tasto più profondo e che non mi riusciva di individuare all’istante.

Ho quindi dovuto scandagliare il libro livello dopo livello. Innanzitutto la trama: sotto le coperte in una mattinata che si presume uggiosa, una donna cresciuta facendo l’amore in maniera bulimica – e non mi riferisco solo al sesso, che a farlo sono buoni tutti o quasi, ma alla capacità di tenere sulla corda di sentimenti ambigui e divoranti una quantità potenzialmente infinita di persone e soprattutto anche sé stessa – racconta per iscritto le proprie vicissitudini a un’amica ritrovata a tre anni di distanza da un litigio irragionevole. Non procede in maniera lineare ma piuttosto come una spirale: ogni capitolo dispari, sin dal titolo, ritorna lì dov’è al tempo presente, ossia “sotto le coperte”; i capitoli pari ricostruiscono le proprie esperienze per lo più sotto un altro titolo comune (“autobiografia di una borderline”) ma procedono in maniera contorta, attraendo il lettore ignaro in un labirinto di passioni irrisolte che a ogni pagina lascia il desiderio di saperne un po’ di più mischiato all’istintiva speranza che la protagonista riesca a fermarsi nel suo procedimento autodistruttivo, in cui trita gli altri per tormentare sé stessa.

Fatto sta che nella trama in sé non ho ritrovato Houellebecq, al massimo qualcosa del Michele Mari più sfrenato, quello di Rondini sul filo, che indubbiamente deve parecchio al Berto de Il male oscuro e de La cosa buffa, per il quale a sua volta la Petrignani non ha mai nascosto ammirazione. Allo stesso modo non mi ha aiutato concentrarmi sull’evidente sottotraccia psicanalitica del romanzo, sintetizzata dall’invito a cena che la protagonista (e voce narrante) riceve dai suoi due psicanalisti, un uomo e una donna, nei quali continua a vedere dei genitori sostitutivi. Lo scavo nelle origini della propria instabilità emotiva, individuata in un momento di ambigua vicinanza col padre, viene presentato in maniera non solo umanamente molto discreta e per nulla spettacolare ma soprattutto, dal versante narrativo, con la sapienza di lasciarlo cadere quasi incidentalmente e presentarlo in maniera molto meno meccanica di come un romanzo meramente psicanalitico avrebbe potuto fare.

La scrittura – che Freud stesso definiva a suo tempo “sostituzione della voce dell’assente” – è il vero leitmotiv delle Dolorose considerazioni, che non a caso nascono con la decisione della protagonista di restare a letto a scrivere a quest’amica che resterà sullo sfondo per tutta la durata del libro, e che non si paleserà mai se non nella mediazione più o meno infingarda dei ricordi e del punto di vista della protagonista. L’utilizzo delle parole la ossessiona, in quanto con le parole si definiscono i sentimenti (“nulla mi consola se non i fogli bianchi dentro al computer”, scrive) e consentono di mettere ordine – come le lettere ricevute da uno dei suoi due ex amanti francesi, con “quella sua scrittura che ricordo benissimo, piccola e ordinata, che disegnava un perfetto rettangolo in mezzo al bianco del foglio”. D’altro canto le parole trascendono il proprio significato e possono conseguire un effetto salvifico, o quasi apotropaico, come nel caso della preghiera: in questo caso la Petrignani si avvicina molto al senso della cosa quando fa dire alla protagonista che “le parole delle preghiere non avevano nessun senso nelle mie orecchie e nel mio cuore, erano musica”.

Le parole salvano, dunque, ma da cosa? Io ho sempre creduto che per i maschi la ricerca incessante dell’amore e in particolare del sesso fosse una maniera di sottrarsi al sentimento della morte – o, volgarizzando, una maniera di lasciare un segno perché la vita è breve. Leggendo Dolorose considerazioni del cuore m’è venuto il sospetto che possa essere così anche per le donne, o almeno alcune di esse. L’archetipo della narrazione della protagonista può essere rintracciato nella pagina in cui racconta di Raimondo Lullo, logico spagnolo del XIII secolo che conquistò donne a tappeto finché una, dalla quale incontrava particolari e irragionevoli resistenze, decise di concedersi mostrandogli il seno divorato dal cancro. Lullo divenne un asceta, la protagonista di Dolorose considerazioni decisamente no: però entrambi sono evidentemente caricati dall’ombra funebre che l’amore si porta sempre dietro (per puro caso, subito dopo Dolorose considerazioni ho letto Camere separate di Tondelli e ho avuto la conferma che è sempre così). E qui ho capito perché già al quarto capitolo avevo subodorato l’Houellebecq ben nascosto in Sandra Petrignani: il punto di contatto è nella presa di coscienza dell’impossibilità di “possedere un altro essere umano al di là del breve affanno dell’orgasmo”.

L’impossibilità di trattenere a sé l’essenza stessa dei vari uomini che si alternano con lei, l’inevitabile decadenza del corpo proprio e dell’altrui, la necessità di accudire in vecchiaia i genitori che l’avevano accudita in infanzia fanno sentire tutta la propria zavorra sull’erotismo della protagonista di Dolorose considerazioni. Un erotismo che diventa houellebecquiano e psicanalitico al sommo grado nel momento in cui postula una conclusione che è a metà strada fra il setting de La possibilità di un’isola e il finale de La coscienza di Zeno: “un’epoca storica in cui il disinteresse sessuale potrebbe renderci più miti e tranquilli, un’umanità serenamente in marcia verso l’autoestinzione, come tanti salmoni che risalgono la corrente per deporre le uova e finire”.

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