martedì 6 ottobre 2009

Anche Guareschi è Candido

(Gurrado per Il Foglio)

Non si poteva festeggiare più degnamente il 250° anniversario della pubblicazione del Candide di Voltaire che assistendo al monumentale convegno organizzato alla Maison Française d’Oxford, nel corso del quale sono intervenuti i più insigni studiosi di tre continenti e m’è venuta un’idea così pressante da dover saltare sul primo aereo che passava e farmi paracadutare in piena Bassa padana, segnatamente a Roncole Verdi.

Il fatto è che non c’è convegno né volume né tesi per quanto fragile sul Candide che non citi a ruota, quale effetto della sua influenza in Italia, il Candido di Sciascia. Ben a ragione, d’altronde. Una recente edizione scolastica ha addirittura optato per un’antologia parallela dei due testi allo scopo di educare le giovani generazioni alle stringenti conclusioni teoriche dei due autori: che “il faut cultiver notre jardin”, secondo il modello francese, e che è meglio sentirsi figli della fortuna, e felici, secondo l’epigono siculo.

L’eredità voltairiana di Sciascia è talmente luminosa da far dimenticare che per sedici anni, dal 1945 al 1961, il più importante settimanale satirico d’Italia si chiamava Candido: esattamente come se l’avesse scritto Voltaire. Invece l’aveva ideato Giovannino Guareschi (con Mosca, Longanesi, Carletto Manzoni e Oreste Del Buono), autore non nuovo a simili amnesie da parte della cultura ufficiale. Lui stesso a dire il vero aveva escluso ogni volo pindarico spiegando già nel 1946 come il titolo del settimanale fosse “un nome insignificante che ha il solo difetto di ricordare un po’ il nostro vecchio giornale, in quanto finisce in –do come Bertoldo”. Eppure l’eredità è macroscopica. Se il Bertoldo si chiamava come il personaggio di Giulio Cesare Croce, Candido era insindacabilmente l’italianizzazione del Candide di Voltaire. Cosa talmente evidente da passare inosservata; e non per niente Del Buono ricordava che in redazione “ogni parola veniva studiata, sviscerata e poi letta con attenzione alla ricerca di tutti i possibili significati”.

Per questo sono volato a Roncole, dove Alberto e Carlotta Guareschi oltre a venire a ripescarmi sotto la pioggia torrenziale (in Inghilterra splendeva il sole) mi hanno consentito di spulciare ogni volume nella biblioteca paterna. Bibliograficamente sapevo che se solo avessi trovato una qualsiasi edizione del Candide il gioco era fatto e l’eredità voltairiana di Guareschi bella che dimostrata. Non l’ho trovata ma ho le attenuanti. La biblioteca è piccola e residuale: buona parte dell’archivio Guareschi è ancora in via di spoglio e quanto ai libri, come per tutti, essi circolavano,venivano prestati, si smarrivano nel nulla. Negli anni della formazione di Guareschi andava per la maggiore in Italia la traduzione Sonzogno di Candido: racconto satirico, pubblicata nel 1926 nella collana “I capolavori dell’umorismo”. Era l’edizione che mi aspettavo di trovare a Roncole. Infatti della stessa collana Guareschi possedeva quasi tutto Jerome e in collane similari Chesterton e Dickens. L’assenza fisica del Candide è un dettaglio: con una biblioteca del genere l’aveva letto di sicuro.

Candido era un settimanale anti-intellettuale ma non per questo fatto da stupidi. Aveva perfino sperimentato una rubrica di satira filosofica che andava da Epicuro a Spinoza ed era curata da Mosca, solerte studioso che già aveva tradotto i classici latini con coscienza e serietà. Guareschi stesso conosceva benone il Settecento, come testimoniano alcuni volumi ancora conservati a Roncole fra cui L’antico regime e la rivoluzione di Tocqueville. Filologicamente sapevo che se solo avessi scovato in Guareschi una citazione da Voltaire il gioco era più che fatto. Macché: l’ho letto e bisletto senza trovare niente, e d’altronde era uno che si vantava di non dover mai citare alcunché. Tuttavia a Roncole ho trovato la Storia della rivoluzione francese di Michelet, con un’orecchia alla doppia pagina che parlava di Voltaire come di “colui che soffre, colui che ha preso per sé tutti i dolori degli uomini, che risente, perseguita ogni iniquità”.

L’orecchia potrebbe benissimo non averla fatta Guareschi ma è innegabile che Candido fosse il settimanale che fustigava le iniquità del dopoguerra. Se rileggeste Voltaire notereste che tutti i guai di Candide iniziano col suo coinvolgimento nella Guerra dei Sette Anni presso i bulgari: anche il romanzo è dunque la storia di un dopoguerra. Quando arrivano a Lisbona, Candide e Pangloss sono condannati a un autodafé e rivestiti di un sambenito: sono privati della loro dignità individuale esattamente come Guareschi che, in un lager fino a pochi mesi prima, si ritraeva trasformato in un numero di matricola e una divisa a righe sempre più larga. Inoltre il settimanale che avrebbe accompagnato gli ultimi mesi della Monarchia poteva ben chiamarsi come il romanzo che aveva dedicato un intero capitolo al banchetto di sei re spodestati e al loro dignitoso rimpianto.

Candido era un settimanale reazionario quasi quanto Voltaire. Il reazionario non è forse colui che esprime sdegno per il proprio tempo ed esclama con ironia sprezzante che “tutto è bene, tutto va bene, tutto va nel migliore dei modi possibili”? Così fa Candido, “il giornale più inutile d’Italia” che aveva per unico obiettivo “battersi contro la retorica non per scetticismo, ma per onestà”. La retorica osteggiata da Voltaire era l’ottuso ottimismo alla Leibniz. L’ottimismo che Guareschi rifiutava era quello che intendeva ricostruire una nazione senza Re e senza Dio. Sono due facce della stessa medaglia: Guareschi auspicava un’Italia prospera e modesta, capace di coltivare il proprio giardino. Però quando sono tornato a Oxford il convegno era già finito e non ho potuto rivelare a nessuno questo decisivo intervento di Voltaire nell’antica vittoria della Democrazia Cristiana - né mi avrebbero creduto.

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