martedì 7 giugno 2011
Il Milan, il Milan, tutto dipende dal Milan; o meglio, se volete capire le prossime mosse di Berlusconi non guardate ad Arcore ma a Milanello. A titolo di esempio, ricorderete che durante la campagna elettorale di Napoli Berlusconi aveva promesso agli elettori che non avrebbe mai comprato Hamsik; visti i risultati, secondo me, ora non solo compra Hamsik ma pure Lavezzi, Cavani e il Vesuvio. Nel 2002, quando acchiappò Nesta all'ultimo minuto di mercato spendendo uno sproposito nonostante l'intuito suggerisse la maggiore opportunità che il Presidente del Consiglio tenesse stretti i cordoni della borsa per dare l'esempio a una nazione economicamente provata dal rinculo degli Stati Uniti post undici settembre, iniziarono a verificarsi i primi scricchiolii che portarono all'allontanamento, per fortuna temporaneo, di Tremonti. Per com'è messo il calcio oggi in Italia, per come la passione calcistica è divenuta in largo anticipo sulla politica una faida di minoranza contro minoranza, in cui il torto si contrappone al torto sulla sola base della considerazione che il mio torto mi sembra meno storto del tuo, senza alcun rispetto per alcun principio universale che non sia la negazione dell'evidenza, al Berlusconi vittima di Pisapia non conviene affatto tenersi la sua squadra, foss'anche con l'immagine vincente: la minoranza di attivisti calcistici e la minoranza di tifosi politici non coincidono e finirebbe per venire apprezzato in pieno come il capo universale, politico-calcistico, della parte di una parte. Se Berlusconi davvero volesse diventare Presidente della Repubblica, dovrebbe vendere istantaneamente il Milan e magari spingere gli uomini più in vista della società - i Galliani, i Braida, i Tassotti - verso un ruolo di spicco nella federazione europea o mondiale onde garantire più peso e più rispetto all'Italia intera. Ma se finisse per venderlo agli arabi, che già hanno iniziato a campeggiare sugli sponsorizzati petti, allora dimostrerebbe che sotto sotto dell'alleanza con la Lega Nord non gliene importa un accidente. Se invece Berlusconi, colto da incantamento per un Massimiliano Allegri che gli rammenta i giorni in cui aveva inventato Sacchi e Capello, dovesse rimboccarsi le maniche per il suo (nonché mio) giocattolo preferito e ricominciare a impegnarsi per il calcio - ma sul serio, non blaterando di tattiche a casaccio come nell'ultimo decennio - allora vorrebbe dire che ha scelto di liberarsi dai capestri burocratici dell'esercizio diretto del potere e riservarsi il ruolo che forse gli è più consono: quello di uomo di parte, grande mecenate di una destra culturale per la quale potrebbe patrocinare la diffusione dell'idea di responsabilità individuale e merito dell'eccellenza pagando di tasca sua un fottio di testate giornalistiche, trasmissioni televisive e collane editoriali sulle quali nessuno gli potrà obiettare nulla perché saranno faccende private pagate con portafoglio privato, come furono all'epoca Gullit e Van Basten per i quali nessuna prefica insorse dicendo che, putacaso, sottraevano ascolti a Michele Santoro. Dite che non è credibile come padre nobile della destra italiana perché ha chiare, evidenti, imprescindibili radici craxiane? Nessuno ha mai trovato da ridire sulla sua riuscita come presidente rossonero anche se tutti nutrono il fondato sospetto che da ragazzino tenesse per l'Inter.
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