giovedì 28 giugno 2012



Il diario intimo dell'Europeo
Giovedì 21 giugno
h 20:45 Repubblica Ceca-Portogallo a Parigi
Non so se possano fungere da attenuanti, ma bisogna considerare le circostanze specifiche a dir poco eccezionali. Anzitutto mi trovo all’estero per la prima volta dopo essermi trasferito da Oxford in Italia; ma essendo Parigi si tratta di un estero meno scabro dell’Inghilterra, un estero più simile al punto di partenza, meno esigente nell’adattamento, forse più (provo orrore a scriverlo) europeo: ma è una considerazione vana, il brutto dell’Europa è che ciascuna nazione tende a reputare più europeo ciò che più le somiglia, e quindi paradossalmente ciò che è più uguale e definito e nazionale e non ciò che può essere più diverso e indefinito e quindi europeo. Chiaro, no? Adamantino. Inoltre le condizioni ambientali sono prostranti in maniera che avrebbe commosso Montesquieu: mentre ero sul trenino che conduceva da Charles De Gaulle a Saint Michel, il diluvio veniva giù da un cielo che di giorno non avevo mai visto così oscuro, nemmeno in Inghilterra, con l’aggravante della totale assenza di illuminazione perché erano le tre del pomeriggio; il Sacré Coeur si affacciava dalla sua collina così grande, grigio e cupo da non sembrare nemmeno più una chiesa. L’impronta della pioggia è rimasta sul resto della giornata anche dopo che le nubi erano progressivamente andate diradandosi. Inoltre in fretta e furia erano stati montati a ogni crocicchio i palchi della festa della musica, un obbrobrio cacofonico che speravo di poter imputare ai danni dell’amministrazione Hollande e che invece mi hanno rivelato risalire ad almeno trent’anni fa (be’, insomma, c’era Mitterrand). Da quel momento in poi, a Parigi è stato impossibile parlarsi, o se non altro è diventato impossibile ascoltarsi. Infine mi sono rifugiato a guardare la partita in una brasserie sul Boulevard Saint Germain che si chiama Le 96 (leggasi quatre-vingt-seize) e che pur essendo, appunto, una brasserie forse si vergogna perché dall’insegna risulta “café contemporain”, lasciandomi con vari dubbi su come possano essere il caffè désuet e soprattutto il caffè futuriste. Conto di neutralizzare la mia fobia di essere notato mentre mangio da solo nel collettivo sguardo rivolto allo schermo ma finisco per passare ancora più inosservato perché di fianco alla trasmissione della partita imperversa un orso marsicano in t-shirt che spara musica a volume contestabile scatenando ben pochi entusiasmi nella clientela in larga parte composta da una comitiva di portoghesi che aveva l’intenzione di guardare la partita ma magari anche di sentirla. Una lavagnetta al muro informa che il benefattore si chiama DJ Cristofo’; lo spelling mi fa sospettare che possa trattarsi di un compatriota ma non indago oltre. Insomma, queste sono le concause. L’effetto è che al primo apparire del risultato in sovraimpessione mi viene spontaneo pensare che in Francese non si possono riprodurre tutti quei bei giochi di parole o equivoci dell’Italiano perché République Tchèque è ben diverso da République Aveugle. Tanta maestria linguistica spiega anche perché allo sportello informazioni dell’aeroporto la questione che avevo posto nel mio Francese più fiorito aveva incontrato risposta in Inglese malaccentato.

Venerdì 22 giugno
h 20:45 Germania-Grecia a Bourg-la-Reine
Si trova Bourg-la-Reine a mezza passeggiata di distanza da Sceaux ma arrivarci da Parigi è semplicissimo: basta prendere la Rer in direzione opposta all’aeroporto e tempo mezz’ora si è lì. Venti minuti in verità, ciò che mi avrebbe consentito di arrivare non solo in orario ma in ammirevole anticipo a cena da Hélène che ha avuto un recente figlio, al quale ho provveduto a regalare un completo di pantaloni blu, camicia bianca e maglione blu così se vuole andare a studiare a Oxford il grosso è fatto. Invece arrivo in ritardo come l’ultimo dei turisti italiani perché nei sotterranei del Luxembourg la biglietteria non c’è quindi bisogna risalire in superficie, ma in superficie a biglietteria è chiusa quindi bisogna camminare fino a Saint Michel, a Saint Michel c’è una sola persona in fila davanti a me ma sembra impegnata in ardite speculazioni finanziarie all’unico sportello aperto, ingarbugliandosi varie volte al punto (anche se a Parigi sono sempre rilassato; a Oxford mai) di farmi concludere repentinamente che è un coglione; quando alfine questo coglione se ne va io mi faccio avanti ma vedo il bigliettaio diventare sgomento, paonazzo nella scoperta di qualcosa che non s’è ben capita e precipitarsi fuori dal gabbiotto all’inseguimento del coglione, che nel frattempo era riemerso in superficie; rinvenutolo, raggiuntolo, risolto tutto ciò che dovevano risolvere mentre io ero ancora in attesa, il bigliettaio è rientrato allo sportello accorgendosi però di essersi chiuso fuori. Il viaggio di ritorno fila più liscio. C’è ancora il sole perché sono le giornate più lunghe e a casa i franchi cenano a orari longobardi; la partita si avvia alla metà ma non me la sento di impiantarmi in casa d’altri per centocinque minuti, pertanto me ne vado ammonendo l’inesperta Hélène sull’eventualità che la Grecia trovi sfogo calcistico alla frustrazione economica tirando uno scherzetto all’avversario germanico. Nessuno mi crede e sul binario in attesa della Rer, mentre sto spiegando a una viaggiatrice nerissima e sperduta che la scritta “Gare du Nord” nell’elenco illuminato delle fermate implica che con ogni verosimiglianza il trenino su cui saliremo fermerà alla Gare du Nord (lei permane scettica ma se non altro evita di controbattere in Inglese), Hélène mi avvisa per messaggino: “But allemand!”. Senza perdere compostezza le rispondo che è una tragédie ma che il y a beaucoup de temps encore, e di conseguenza j’ai confiance. Non faccio in tempo ad aprire la porta della mia camera d’albergo e ad accendere il televisore che vedo la Grecia pareggiare, con Hélène che recede per lo shock all’Italiano e mi scrive che forse sul calcio ho ragione. Senza falsa modestia rispondo convenendo che ho ragione su tutto. Poi i tedeschi segnano il secondo, ed Hélène: “Hum”; segnano il terzo, “Hum hum”; segnano il quarto, e trovo l’ardire di risponderle che forse la Germania è più forte. Da Bourg-la-Reine viene espressa viva ammirazione per la mia perspicacia.