Il diario intimo dell'Europeo
Sabato 23 giugno
h 20:45 Spagna-Francia
a Parigi
Non so se fosse un annuncio su un quotidiano oppure un
manifesto, fatto sta che – si sa come sono i francesi, sempre un sopracciglio inarcato
sulle vicissitudini terrene – l’elenco delle possibili attività da svolgersi in
serata a Parigi inizia con l’alternativa secca: “Questa sera potete scegliere
fra assistere impotenti alla disfatta dell’équipe de France contro la Spagna,
oppure”, e giù una lista lunga così di cose da fare, più o meno plausibili. Non
l’ho visto coi miei occhi ma me l’ha riferito Peppe non appena è arrivato all’appuntamento
in place de la Contrescarpe. Alcune necessarie precisazioni: Peppe, come i più
intuitivi di voi avranno colto, non è francese e nemmeno spagnolo; l’appuntamento
è di fronte a un locale che non posso nominare e l’abbiamo fissato lì non
perché avessimo intenzione di andarci ma perché è talvolta frequentato da
Emmanuelle Béart; senza preavviso alcuno, Emmanuelle Béart non si presenta;
nella medesima place de la Contrescarpe, pieno quartiere latino, lo stesso
Peppe aveva visto coi suoi occhi anni prima un bevitore di birra stiracchiarsi
al tavolino, proferire “Ah! je pense donc je suis” e poi ruttare. Il tempo di
ricordare tre di queste cose e la Spagna, nel lontano schermo di uno dei
bistrot limitrofi, ha già segnato nel disinteresse generale dando libero
accesso alla seconda multiforme alternativa presentata dal manifesto di cui
sopra, che forse era un annuncio su un quotidiano. Optiamo per una lunga
passeggiata che attraverso il Luxembourg ci conduce a Montparnasse dove
possiamo scegliere fra una vasta gamma di creperie bretoni, fra le quali
prevale Le Saint-Malo. Io sono contento perché a Saint-Malo è ambientato il
racconto più divertente di Voltaire, che si intitola L’Ingenuo e narra di questo giovane transfuga urone che viene
convertito al Cristianesimo in Bassa Bretagna e non che per davvero legge il
Nuovo Testamento e finisce per voler farsi battezzare nelle acque di un fiume,
per voler farsi circoncidere come San Pietro, per voler menare il suo
confessore che non si lasciava confessare da lui nonostante che nell’epistola
di San Giacomo (5, 16) sia scritto a chiare lettere: “Confessate i vostri
peccati gli uni agli altri”. Mi trattengo dal farne partecipi gli avventori,
non vorrei mai che mi giudicassero noioso e uomo di un solo argomento; tanto
più che sono a Parigi in occasione di un convegno alla Sorbona che si è
concluso, dopo due giorni di discussione sui gusti musicali di Voltaire, con la
lettura di una lettera in cui il medesimo ammette: “Sono duro d’orecchie, sono
un po’ sordo”.
Domenica 24 giugno
h 20:45
Inghilterra-Italia a Pavia
La giornata, niente male, si apre con un’abbondante
colazione in Place de la Sorbonne, dove il cielo minaccia e la temperatura è
scesa al punto che col maglioncino si avverte un po’ di fresco. Prosegue con un
caffè al Charles De Gaulle, forse l’aeroporto dove il caffè (un caffè vero,
italiano) costa di più al mondo: due euri e trenta liscio, due euri e quaranta
macchiato benché col benefit di poter saccheggiare aggratis quotidiani sparsi,
così che mi rifaccio prendendo per il viaggio Le Monde, L’Equipe e – a sfregio –
Repubblica; l’unico caso al mondo, inoltre, in cui il caffè che abitualmente mi
rende nervoso serva invece a rilassarmi perché dieci minuti prima, mentre mi
aggiravo nell’edicola di là dai controlli di sicurezza alla ricerca di un’adeguata
guida al Tour de France, senza particolare preavviso era fatto brillare un
bagaglio incustodito e vi assicuro che sentire bum in aeroporto non è una
condizione gradevole (forse è l’unico caso in cui si provi sollievo all’idea di
viaggiare da soli; forse no). Dopo di che, in volo, dei peculiari biscotti all’anice
e un bicchier d’acqua fresca griffato Air France; pranzo rimandato all’atterraggio,
nel primissimo pomeriggio, con un panino simil-Autogrill al pretenzioso chiosco
degli arrivi di Linate prima di prendere la navetta per Milano. Niente caffè in
Stazione Centrale perché alla mia età è bene non esagerare con le emozioni: l’euro
risparmiato finisce dritto nella tariffa del biglietto di prima classe sull’intercity
per Pavia, otto anziché sette. A Pavia, sarà che ci sono venti gradi in più
rispetto a Parigi, il mio corpo impazzisce, prende a sudare oltre ogni
ragionevolezza e mi vedo costretto a tentare di blandirlo con un Cucciolone
gelato. Nel frattempo mi ha chiamato Gionata che in serata si porta a Pavia un
paio di altri vecchi compagni di liceo (chi di stanza in Lombardia, chi di
fugace passaggio) nonché sua moglie. Prenoto in pizzeria e giunta l’ora, per
non tediare le donne con la solita partita, ci sistemiamo così: loro di spalle
allo schermo, noi di faccia. (Le donne, si sa, sono l’unica minoranza
numericamente preponderante). La partita sarà lunga e sappiamo in anticipo che
si andrà come minimo ai supplementari, ergo prendiamo tempo ordinando un
antipasto di mare e uno di salumi, da spartire. Mi contengo, timoroso ancora
per le mie menugia, e in luogo dell’universale birra media mi offro una Coca
Cola. Poi arrivano le pizze, ma non basta: c’è tempo anche per i dessert oltre
il novantesimo. Chi prende la torta fichi e noci, chi il profitterol; io, la
foresta nera. Quindi è d’uopo l’ammazzacaffè, che visto il caldo è bene sia un
limoncello. Dunque, ricapitolando la giornata gastronomica: colazione
continentale, caffè, biscotti all’anice, panino, gelato, pesce, affettato,
pizza, Coca Cola, torta, limoncello e alla fine, tanto per gradire, cucchiaio.