Il diario intimo dell'Europeo
Lunedì 11 giugno
h 18
Francia-Inghilterra a Pavia
Francia e Inghilterra sono le due patrie ideali del mio
intelletto: perché ho vissuto per anni a Oxford e lavoro su Voltaire, perché mi
pagano apposta per scrivere note in inglese sotto testi in francese, perché mi
viene da ridere se al pub mi servono al tavolo e sotto la torre Eiffel mi
emoziono come se l’avessi fatta io, perché ho preso varie volte il treno sotto
la Manica senza attacchi di claustrofobia, perché la prima primissima volta all’aeroporto
Charles De Gaulle cercavo di spiegarmi con l’ufficio informazioni in Inglese,
mica in Italiano, e perché l’ultima volta che avevo trascorso una settimana a
Parigi ero finito a dire “merci bien” al rivenditore di Cornish pastries non
essendomi accorto che nel frattempo ero arrivato alla stazione di Paddington.
Meno male che un’amica semplice ma che deve volermi bene mi ha fatto rinsavire
con una considerazione che potrei riassumere in cotal guisa: uagliò, ma quale
patria e patria, tu puoi andare e venire dall’Inghilterra alla Francia tutte le
volte che ti pare ma resti sempre di Gravina in Puglia; ma quale intelletto e
intelletto, fammi il piacere, vola più basso. Sante parole. Ho guardato il
calendario dell’Europeo, ho distolto l’attenzione dalla fatale partita d’oltremanica
e ho considerato con ben maggiore modestia: stasera c’è Ucraina-Svezia, due
delle patrie ideali del mio –
h 20:45 Ucraina-Svezia
a Pavia
Mi sono spiegato, spero. Di conseguenza, giunta l’ora, ho
indossato la mia camicia migliore nonché unica pulita e sono uscito forte del
seguente ragionamento: Pavia è una città giovane, dinamica, internazionale; la
sua università la rende un luogo irripetibile, crocevia di infinite culture
europee; di sicuro nelle sue strade, nelle sue piazze, nelle sue borgate si
riverseranno frotte di ucraine e di svedesi vogliose di guardare la partita; io
mi piazzo, la guardo anch’io e se vince l’Ucraina abbraccio un’ucraina, se
vince la Svezia abbraccio una svedese e se dovessero pareggiare le abbraccio
tutt’e due. Dovete sapere che le svedesi esistono veramente: io ne vidi una,
una volta, in biblioteca a Oxford; era bionda, inevitabilmente, sembrava scolpita
dal Michelangelo delle Barbie ed era convinta di essere bruttarella; stava
cercando di contare quante volte Voltaire avesse utilizzato una determinata
parola (a Oxford si studia così) e le avevo dato una mano. Sono uscito da casa
dunque, ho percorso tutta Strada Nuova, sono passato dal Duomo e poi da Piazza
Vittoria con questo prototipo ben chiaro in mente ma non ho scorto nulla di
simile. Per giunta, avevo dimenticato il portafoglio in camera, ergo per
offrirmi qualcosa da bere e giustificare la mia presenza al bar avrei dovuto far
commercio del mio corpo. In giro solo una o due classi per la pizza di fine anno
scolastico coi professori, e qua e là qualche maschietto solo, dall’occhio
vispo e dal passo incerto: gente convinta che Pavia è una città giovane,
dinamica, internazionale, gente convinta che basti uscire a fare due passi per
ciularsi un’ucraina o una svedese. Sono tornato in camera e me la sono guardata
seduto contro la testiera del letto, mentre fuori faceva buio, dopo avere
controllato che il portafoglio fosse effettivamente lì.