domenica 17 giugno 2012



Il diario intimo dell'Europeo
Martedì 12 giugno

h 20:45 Polonia-Russia a Pavia
C’è dunque questa réclame di una serie televisiva che si terrà in un vago prossimamente dai contorni piuttosto minacciosi e che io sulle prime credevo essere una raffinata presa in giro, intendendo il Final Countdown degli Europe sulle immagini di un degente barbutissimo che si sveglia e come se niente fosse si alza per presentarsi di lì a mezzo minuto, sbarbato, con addosso un chiodo e una sigaretta accesa in pieno ospedale. La voce narrante spiega intanto che si tratta del commissario non so chi, il quale dopo vent’anni di coma s’è svegliato e torna immediatamente operativo benché convinto ancora di trovarsi – beato lui – all’alba degli anni ’90: la serie si intitola The Last Cop, L’Ultimo Sbirro. La partita della sera ne rivela alfine l’identità segreta: trattasi di Fulvio Collovati, storica voce tecnica della Rai dalla trascinante simpatia; Fulvio Collovati, l’ultima guardia rossa che può permettersi in diretta in prima serata su Rai1 di andare a caccia di sinonimi chiamando un buon paio di volte i russi sovietici, come se si fosse appena svegliato dal coma, come se volesse blandire quelli come me convinti a priori che si stava meglio quando si stava peggio. Meglio di lui solo Alberto Rimedio, che la sorte ha voluto cronista nel corso della medesima partita: è talmente entusiasta di quest’Europeo da mettersi a chiamarlo Mondiale. Io sono un uomo attento alle parole e questi dettagli riescono a scuotermi dalla rêverie su cui mi ero mollemente adagiato al suono dei nomi dei beniamini polacchi: c’è Fabianski, c’è Komorowski, c’è Wasilewski e c’è Mierzejewski, ci sono Polanski, Murawski, il grande Lewandowski e l’ancor più grande Blaszczykowski. Io, per motivi che non sto a dire, a Oxford mi ero abituato a queste assonanze e mi sembra di essere precipitato nella geniale scena iniziale di Vogliamo vivere, il film più divertente mai girato sul nazismo, ed era il 1942; di più, mi pare che le voci di Alberto “Mundial” Rimedio e di Fulvio “Ottobre Rosso” Collovati si trasformino via via in quella ignota ma familiarissima di Giuseppe Gioachino Belli il quale il 3 gennaio 1835, improvvidamente invitato a recitare un sonetto d’occasione a casa di certi esotici nobili inurbati che si chiamavano Wolkonski, s’alzò dal desco declamando: “Sor Artezza Zzenaida Vorcoschi, / perché lei me vo’ esporre a ’sti du’ rischi: / o che ggnisun cristiano me capischi / o me capischi troppo e mme conoschi? // La mia musa è de casa Miseroschi, / dunque come volete che ffinischi? / Io ggià lo vedo che finisce a ffischi / si la scampo dar zugo de li boschi. // Artezza mia, noantri romaneschi / nun zapemo addoprà ttermini truschi, / comm’e lei per esempio e’r zor Viaseschi. // Basta, coraggio! e nnaschi quer che naschi. / Sia che sse sia, s’abbuschi o nun z’abbuschi, / finarmente poi semo ommini maschi”.