lunedì 4 giugno 2012
Poniamo che qualche giorno fa un violento terremoto avesse squassato il Norfolk, o lo Shropshire, o il Dorset. Ho l'impressione che per questo non un'imbarcazione in meno avrebbe solcato il Tamigi ieri, né un minuto sarebbe stato sottratto alle celebrazioni per il giubileo di diamante di Elisabetta II, regina da sessant'anni. Le ragioni per le quali non si sarebbe rimpicciolito il giubileo risiedono proprio nella cifra tonda, segno che la stessa persona è stata seduta nello stesso posto dal 1952 in poi, mentre la Gran Bretagna cambiava, si evolveva, con ogni probabilità degenerava e di sicuro, passando attraverso momenti gloriosi e dolorosi, si ritrovava a non essere più la stessa nazione all'altro capo del sessantennio, non fosse stato per la continua e costante presenza della sovrana che ne garantiva l'identità e rassicurava magari il suo popolo così che non si sentisse troppo trasportato dalle belle novità né troppo avvilito da quelle brutte. Il tempo passava e lei stava là, questo è tutto: era la personificazione dello schema kantiano che ci permette di dire che un cane è lo stesso sia quando ne vediamo arrivare il muso sia quando, un minuto dopo, vediamo la coda allontanarsi all'orizzonte. Si può preferire un re a un altro, si può criticare l'operato di un monarca, si può perfino essere stravaganti al punto di dichiararsi repubblicani come Cherie Blair ma non si può non ammettere che, in quanto regina, Elisabetta ha sigillato la continuità della Gran Bretagna in un mondo che si trasformava (e il suo regno con esso); e risalendo su per una complicata scala di discendenze e tradizioni l'ha mantenuta collegata alla Regina Vittoria, alla Gloriosa Rivoluzione, a Enrico VIII, alla battaglia di Hastings e forse perfino ad Atelstano, che mille e settantacinque anni fa da re del Wessex, un pezzo oggi e un pezzo domani, si fece re d'Inghilterra. A cosa ci fa risalire la festa della repubblica, a De Nicola? Quando il governo britannico deve rendere noto il programma per l'anno a venire il discorso del primo ministro viene letto solennemente dalla Regina e non si chiama The Prime Minister's Speech ma The Queen's Speech. Non so se questo renda la Gran Bretagna una nazione antiquata, fatto sta che da noi, quando ha dovuto spiegare le proprie intenzioni, Mario Monti è dovuto andare da Bruno Vespa. Mentre la seconda guerra mondiale prometteva nel migliore dei casi il bombardamento delle città britanniche e nel peggiore l'invasione dei tedeschi, Giorgio VI padre di Elisabetta è entrato nella mitologia anche antimonarchica per avere prodotto lo slogan perfetto per l'animo dei suoi sudditi: "Keep calm and carry on". Ho il sospetto che durante la parata del due giugno Napolitano non avrebbe mai potuto dire agli emiliani "State calmi e andate avanti" perché chissà cos'avrebbe risposto Beppe Grillo o Di Pietro. In Europa ci sono grandi monarchie come la Gran Bretagna, la Spagna, la Svezia, i Paesi Bassi. Se ieri perfino Enrico Palandri arrivava a scrivere sull'Unità (sull'Unità, sull'U-ni-tà, mica sul Borbonico Compiuto) che talvolta anche in Italia si avverte la carenza di un potere simile, forse s'è fatta ora anche per noi prima che si sfasci tutto indipendentemente dai terremoti. L'importante è stare calmi e la repubblica non aiuta.