martedì 12 giugno 2012


Il diario intimo dell'Europeo
Venerdì 8 giugno

h 18 Polonia-Grecia sulla Strada Provinciale 1
Per un curioso incidente del destino, nel momento esatto in cui l’automobile – una Ka grigia affetta da timidezza patologica, che quando la si parcheggia in mezzo ad altre macchine sembra nascondersi e scomparire per quant’è piccola – esce dall’agro pavese per imboccare l’Oltrepo, ecco che un sole altrettanto timido si affaccia sull’asfalto e mi ricorda tre cose. La prima è che è giugno, che nonostante il grigio cupo che aveva sovrastato il centro di Pavia fino a che non ero partito le giornate sono già così lunghe che quando uno si aspetta il tramonto può ancora scoprire un inatteso splendore. La seconda è che sta per iniziare l’Euro 2012 e che a differenza di non so quanti italiani per mia precisa e consapevole scelta non sarò seduto in poltrona o sul divano a guardare il primo calcio d’inizio. Donde un caleidoscopio di partite inaugurali che risalgono via via nel tempo addietro, segnandone le tappe con indefettibile regolarità: la Germania-Costarica dei Mondiali 2006 vista a casa di Gerardo e Clemente nell’arsura modenese, la Portogallo-Grecia nel pigro pomeriggio di un sabato elettorale, la Francia-Senegal precipitata da Seul a Pavia mentre da una parte era buio e dall’altra brillava il dopopranzo, e poi ancora la Brasile-Scozia vista coi manuali della maturità ancora aperti sul tavolo della cucina, la Germania-Bolivia sbirciata in un ristorante di non ricordo dove con non ricordo chi, la Svezia-Francia in onore della quale mi ero addirittura ritirato anzitempo dalle ultime e stanche lezioni di seconda media, fino – mentre la Ka si arrampica sui colli – all’Argentina-Camerun vista con papà in salotto quando ancora forse lui era più interessato di me. Insomma la vita andrà pure avanti ma per ogni passo che azzarda nel futuro prende una rincorsa sempre più lunga, finché non le manca il fiato: e con questa fanno due. La terza cosa che l’ombra di sole ha provveduto a ricordarmi è che non ho idea di che fine abbiano fatto Gerardo e Clemente, di sicuro non abitano più lì.


h 20:45 Russia-Repubblica Ceca a Varzi
Savio mi comunica il risultato della partita pomeridiana mentre sto mangiando una quantità indiscriminata di salumi sotto un torracchione medievale di fianco a una parrocchia lungo il fianco della quale una mano democratica ha scritto RESISTENZA, raro esempio di libero Stato in libera chiesa; poi mi rende partecipe della propria trepidante attesa per la partita della sera, e per indorarla la chiama col suo nome primigenio, Unione Sovietica-Cecoslovacchia. Vuol farmi patire che non la guarderò, sostituendola con un concerto di musica barocca in una cornice resa ancora più suggestiva dall’evenienza che, al termine di uno struggente Stabat Mater per basso continuo e soprano sola, frammezzo il pubblico risuonerà il trillo di un anonimo cellulare che, su una scala che va da drin a Waka Waka, risulta molto più vicino a quest’ultimo estremo. Non posso ancora saperlo, però, e devo affrettarmi a esaurire il salume perché non voglio arrivare in ritardo; se non che strada facendo verso la Pieve dei Cappuccini mi assale il desiderio di qualcosa di dolce e quando mi accade io so che divento intrattabile, se non mi accontento subito capace che m’innervosisco, tengo il broncio ingiustificato e poi piglio a ceffoni sia il proprietario della suoneria ridondante sia magari l’incolpevole soprano. Entro dunque nell’unico luogo che sembri offrire soddisfazione ai miei bisogni, un bar appiccicato a una stazione Esso dov’è rimasto un ultimo cornetto dal primo mattino, che fagocito considerando l’ambiente circostante: alla mia destra, sui tavolini esterni, una vasta scelta di braccia rubate ai lavori forzati; dietro di me la Russia che attacca e di cui faccio anche in tempo a vedere il primo goal; davanti a me l’esuberante barista vestita in maniera ancor più esuberante per fidelizzare la clientela ma non me medesimo, ché si vede lontano tre miglia che sono di passaggio. Le chiedo anche un bicchier d’acqua calcolando a occhio che gli abitanti di Varzi sono sette e li ho incontrati tutti nel breve volgere di una passeggiata. Il concerto sta per iniziare, detesto arrivare in ritardo ragion per cui mi affretto a pagare il dovuto; lei batte il solo cornetto e quando le chiedo cosa le devo per l’acqua, mi lancia una risposta che manco ne Gli Spietati: “Va’ con Dio”. E io vado.