sabato 21 luglio 2012

Gli errori sono il leitmotiv dell’autobiografia di Goldoni, come se costituissero il canovaccio di una lunga commedia di formazione che parte dai primi contatti dell’autore coi libri paterni e termina nel 1787: Goldoni ha ottant’anni, vive a Parigi su una modesta pensione garantitagli da Luigi XVI, è orbo e di tanto in tanto vittima di attacchi di panico. Ogni mattina scrive le Memorie per diletto. Dopo pranzo può permettersi di non lavorare più ma di andare a teatro o giocare a carte fino a sera; dopo di che, racconta, “rincaso prima delle dieci, prendo due o tre cioccolatini con un bicchiere di acqua e vino: ecco la mia cena; faccio conversazione con mia moglie fino a mezzanotte; ci corichiamo maritalmente in inverno, in due letti gemelli nella stessa stanza d’estate; mi addormento subito e trascorro notti tranquille”. Non turbano i suoi sonni i critici teatrali né coloro che gli rinfacceranno le mancanze minuziosamente descritte nell’autobiografia, la cui censura “non produrrebbe niente in favore della letteratura. Se tuttavia ci fosse qualche scrittore che volesse occuparsi di me soltanto per affliggermi, sciuperebbe il suo tempo. Sono nato pacifico; ho sempre mantenuto la mia calma, alla mia età leggo poco e non leggo che libri divertenti”.

Su un paginone del Foglio in edicola oggi racconto la commedia degli errori che fu la giovinezza di Goldoni, con adeguato spazio alla breve ma intensa permanenza in un noto Collegio di Pavia.