lunedì 15 ottobre 2012

Finalmente domenica!
Sosta per Armenia e Danimarca, 14 ottobre 2012

Ho sentito qualche maligno proferire: “È uscito il nuovo romanzo di Paolo Giordano; ci hanno messo cinque anni a scriverglielo”. Ho sentito qualcun altro argomentare che, essendo uscito un ulteriore libro di Francesco Totti, questi ha ormai più titoli di me per concorrere all’abilitazione nazionale da docente universitario. Ho pensato che di o su Lance Armstrong è uscito a tutt’oggi un fottio di libri, in America e in Francia e in Italia, e ho immaginato autori ed editori intenti a cambiarne il finale, a smussarne affermazioni troppo entusiastiche, a cancellarne le parti in cui si diceva che la sua storia era un esempio per tutti gli ammalati. Ho concluso che l’editoria – in Italia, in Francia e pure in America – è sovente fatta da persone incapaci di prevedere il futuro di là dalla propria nuca, altrimenti sarebbero state in grado di scrivere, in tutti i volumi gialli usciti su Armstrong nell’ultima dozzina d’anni, che già nel 1999, sulla salita del Sestriere, era evidente ciò di cui tutti avrebbero finto di accorgersi a 2012 inoltrato, quando sarebbe stato troppo tardi: le vittorie celebrate, la gloria archiviata, i proventi pappati, gli ammalati ingannati, le mogli bionde cambiate in numero di tre, più o meno una ogni due Tour vinti. Ho pensato che è bene lasciare un enorme buco nell’albo d’oro a futura memoria ma che si potrebbe assegnare d’ufficio a Pantani la vittoria nei Tour del 2004 e 2005, per avere pagato con la vita colpe sulle quali in America si sbevazzava a tradimento. Ho notato che l’ipocrisia generale degli ultimi tredici anni ha fatto sì che alla delinquenza di Armstrong fossero dedicate lenzuolate e al ritiro di Alessia Filippi un trafiletto appena, quando invece sarebbe stato più giusto l’inverso: quattro parole per Armstrong (“ciò che già sapevamo”) e lenzuolate di elucubrazioni sulla Filippi. Ho scoperto di non essermi reso conto che la Filippi fosse così giovane, venticinque anni addosso e sette meno di me che a stento mi reggo a galla. Ho ritenuto che il suo indubbio talento natatorio fosse stato in qualche modo oscurato dal non avere mai fatto pubblicità alle bollette o ai biscottini. Ho capito che la vera soddisfazione dell’agonismo non è la vittoria, foss’anche per sette anni consecutivi, ma la sera in cui vai a coricarti sapendo che al mattino dopo non dovrai farlo più. Ho meditato sulla differenza fra chi si ritira vecchio a pancia piena, accortosi che per bravura o per inganno non avrebbe potuto combinare di più in carriera, e chi chiude il rubinetto da giovane, per scelta consapevole, pur sapendo di non avere bevuto tanto quanto ci si aspettava in relazione al talento e di potere, un giorno futuro, avere ancora sete. Ho immaginato Alessia Filippi che torna a casa e non deve più pensare a tempi o bracciate perché ha scelto di essere una persona normale. Ho dedotto che oggi come oggi un suo libro che spieghi perché e percome sarebbe trenta volte più interessante di tutta la bibliografia di e su Armstrong e perfino dei libri di Totti, per tacere di Paolo Giordano. Ho rimpianto di non avere il numero di Alessia Filippi perché le avrei scritto questo messaggino: “Auguri, bella pesciolona. La tua vita inizia domani; finora era solo allenamento”.

[L'altra metà della rubrica, quella di Francesco Savio, si trova su Quasi Rete.]