Ieri mattina, all’angolo fra corso Cavour e via XX
Settembre, una ragazza mi ha fermato mentre stavo andando dalla libreria alla
biblioteca e mi ha chiesto: “Ciao! L’ultimo libro che hai letto?”. Trattandosi
di una di quelle importune scritturate per procacciare sottoscrizioni di
abbonamenti a un qualche club del libro da parte di ignari passanti, l’ho
squadrata sì con mestizia ma anche con malcelato disprezzo verso il suo
mestiere, i suoi modo e la sua persona, e le ho risposto: “Io lavoro coi libri,
non ti conviene”. Avrà capito che faccio il libraio, o forse il rappresentante
di un club del libro rivale, e l’ho lasciata lì coi suoi moduli in mano sotto
la pioggia battente.
Al pomeriggio, mentre guardavo su Rai3 la pioggia battente
che cadeva sul Giro di Lombardia perché erano saltate le immagini dei
corridori, e mentre mi chiedevo se valesse la pena di stare a guardare le gocce
televisive sull’asfalto del Lungolario di Lecco anziché quelle che dal vivo
bagnavano i circostanti tetti di Pavia, mi sono reso conto che se fossi stato onesto
avrei dovuto così rispondere all’ignota imbonitrice:
“L’ultimo libro che ho letto, finito appena ieri, è The Devil’s Dictionary di Ambrose
Bierce, nell’edizione (Penguin, Harmondsworth, 1971, non in vendita negli Stati
Uniti e in Canada) che include anche le voci scoperte da Ernest Jerome Hopkin e
presenti nel periodico ottocentesco sanfrancischese “The News Letter” ma non
nell’edizione in volume del 1911. Questo pomeriggio, compatibilmente con gli
impegni di passività ciclistica e calcistica, ho invece la ferma intenzione di
iniziare Putain di Nelly Arcan
(Seuil, Paris, 2001), una mondana quebecchese versata nello stream of
consciousness. A dire il vero, per insindacabili questioni di lavoro, sto
leggendo anche I progressi della ragione:
vita di Pietro Verri di Carlo Capra (Il Mulino, Bologna, 2002), il Dictionnaire portatif des Conciles di
Pons-Augustine Alletz (Paris, chez la veuve Didot, 1758) , l’Istoria del Concilio di Trento del
cardinale Pietro Sforza Pallavicino (Roma, 1657) e soprattutto l’Istoria del Concilio tridentino di
Pietro Soave Polano alias Paolo Sarpi, non già nell’edizione originale
londinese del 1619 ma nella traduzione francese di Giovanni Diodati sotto il
titolo Histoire du Concile de Trente eccetera
eccetera (Genève, chez Chouet, 1635, seconda edizione).
“Devo però ammettere che con l’andare del tempo leggo e
sottolineo e glosso sempre più meccanicamente e svogliatamente e faticosamente
perché, anziché pensare a cosa c’è scritto, sempre più spesso mi sorprendo a
riflettere così poniamo caso che gli editori delle opere di Voltaire taglino
tutte le mie note a pie’ di pagina per ragioni di spazio, che i giornali
smettano d’emblée di pubblicarmi, che i pamphlet che ho già pronti da tempo
(uno dei quali con contratto regolarmente sottoscritto e regolarmente disatteso
dall’editore) restino a furia di promesse vaghe eternamente rinchiusi nel mio
computer, e che non riesca nemmeno a pubblicare uno straccio di romanzo come un
Carofiglio qualsiasi; allora, nel caso, avrei ancora bisogno di libri?
Nossignora, dico io, avrei piuttosto bisogno di comprare uno specchio, bello,
nuovo, ampio e luminoso, così da poter alfine passare il resto dei miei giorni
a sputarmi in faccia, manco fossi Zdenek Zeman”.
[La rubrica completa, con la metà di Francesco Savio, si trova come sempre su Quasi Rete.]