lunedì 11 febbraio 2013

Finalmente domenica!
Ventiquattresima giornata, 10 febbraio 2013

Venerdì sera sono andato a teatro a vedere Angela Finocchiaro e mi sono trovato immediatamente in difficoltà in quanto, appena entrato, la prima persona che ho visto nel foyer era Walter Fontana, l’autore della pièce. Pur essendo uno dei migliori umoristi italiani, Fontana – che ai tempi delle Smemoranda era passato alla storia per la battuta “Credi in Dio?” “Diciamo che lo stimo molto” – non ama apparire e infatti ricordavo il suo volto solo grazie a un’unica, discreta comparsata televisiva come ospite da Fabio Fazio in una vecchia edizione di Quelli che il calcio. Lì per lì ho provato l’istinto di avvicinarmi e salutarlo, un po’ per farmi bello dimostrando che nonostante la sua riservatezza ero in grado di riconoscerlo al volo, un po’ per rincuorarlo, come se ne avesse bisogno, visto che temo che non lo riconosca mai nessuno. Rendendomi conto che era lì doppiamente sulle spine, perché non sapeva come sarebbe andato lo spettacolo e perché con ogni evidenza stava aspettando qualcuno, ho lasciato perdere e mi sono diretto verso la platea, non prima però di aver cercato di fargli capire che comunque l’avevo riconosciuto e che evitavo di fargli notare che l’avevo riconosciuto presumendo che lui preferisse non venire riconosciuto. Insomma, passandogli davanti gli ho detto “Buonasera” e non so cosa mi abbia risposto perché ho tirato dritto.

Il problema dell’autore è sempre il medesimo, ossia se convenga essere riconosciuti o meno. Di sicuro il mestiere di scrivere risparmia molti inconvenienti come quello occorso a Fabio Capello: un giorno un mio conoscente gli era capitato di fianco al cinema e l’aveva intrattenuto per due ore spiegandogli (il mio conoscente, a Fabio Capello) come usufruire correttamente del gioco a zona. Non ricordo di che film si trattasse; forse non lo ricordava nemmeno il conoscente; di sicuro non lo ricordava affatto Capello. Il contrario era accaduto a Enrico Brizzi, il miglior romanziere dell’Italia odierna quanto a capacità di imbastire trame. Alla fiera del libro di Torino, ossia in un contesto in cui pure sarebbe stato verosimile incrociarlo e riconoscerlo, vedendolo schiacciato contro un muro dalle telecamere dei passanti avevano dedotto che doveva essere famoso e si erano domandati: “E chi è che è quello lì?” “Boh, forse Dj Francesco”.

Un particolare tipo di riconoscimento dell’autore è quello che avviene su internet. Un tempo, quando esistevano solo giornali e libri, uno scriveva e la cosa finiva lì, a meno che chi volesse replicare fosse in grado di scrivere su un altro giornale o in un altro libro. Sono nati così testi immortali come il Contro Sainte-Beuve di Proust. Oggi un articolo o un pezzo di libro vengono pubblicati su internet e, avendo l’opportunità di commentare sulla stessa pagina virtuale, tutti ma proprio tutti dispongono dell’opportunità che ha avuto il mio conoscente di cui sopra, ossia sedersi di fianco a Fabio Capello e spiegargli come diventare un allenatore di successo. Questo è indubbiamente un segno del progresso inarrestabile, anche se il mio umorista inglese di riferimento, che si chiama Charlie Brooker e in Italia è purtroppo noto solo all’élite che ha guardato Balck Mirror su Sky, di recente ha dichiarato che non solo non legge mai i commenti ficcati sotto la versione online degli articolo che pubblica sul Guardian ma che più di una volta ha avuto la tentazione di chiedere ai redattori di disattivare l’opzione, ritenendo che parlare da solo sia un atto molto più sano che parlare coi lettori virtuali.

Nel mio piccolo è capitato anche a me, che non sono Charlie Brooker né Walter Fontana né Enrico Brizzi né tanto meno Proust (sono tutt’al più un piccolo Sainte-Beuve, ringhioso e infingardo): l’altro giorno un sito ha pubblicato un mio pezzo sul matrimonio omosessuale e i commenti, che non ho letto, a quanto mi è stato riferito si sono scatenati nella maniera che potete immaginare. Alcuni mi hanno inseguito anche nel privato e i più cortesi mi hanno tutti fatto notare che l’assunto alla base delle mie ironie – “Se si ha il diritto di sposare chi si ama, perché non posso sposare Jennifer Aniston o Voltaire o il Guerin Sportivo?” – conteneva un paralogisma in quanto la lotta per il matrimonio omosessuale non si basa sul diritto di sposare chi si ama ma sul diritto di sposarsi di due persone che si amano. Io non riconosco i matrimoni in Comune, figuriamoci se sono a favore del matrimonio omosessuale; però mi è spiaciuto notare che nessuno ha preso in considerazione ciò che avevo scritto nella prima riga, ossia che il ministro-ombra britannico alle pari opportunità, la laburista Yvette Cooper (moglie dell’altrettanto laburista Ed Balls, uno che merita il cognome che ha), aveva sostenuto che il matrimonio omosessuale si fonda sul diritto di sposare chi si ama. Il paralogisma caso mai era roba sua, io mi sono limitato a trarne le conseguenze; a meno che in Inghilterra non viga una logica formale diversa da quella che vige in Italia.

Non mi sorprenderebbe poiché lunedì ho scoperto che una logica formale diversa dalla nostra vige in Francia, tanto per fare un esempio. La Sorbona organizza per giugno un convegno su Voltaire e il sesso e io avevo chiesto di intervenire in quanto esperto (sì, è un doppio senso) proponendo un dettagliato abstract di cui vi faccio grazia. A stretto giro di posta mi è stato risposto che, cito e traduco, “ci spiace non potere accettare la proposta che avete avuto la gentilezza di inviarci, il suo contenuto coincidendo con quello di altre proposte la cui tematica ci è parsa più conforme alle attese del detto convegno”: ossia, che ciò che volevo dire io non è conforme pur essendo uguale a ciò che diranno altri che invece sono conformi. Questo sembra spiegare, molti secoli dopo, come mai Antoine Arnauld fosse stato espulso dalla Sorbona: sospettavano che prima o poi avrebbe scritto la Logica di Port-Royal.

Insomma, parafrasando Sandro, Penna: autore, autore, lieto disonore. Con Walter Fontana invece la cosa è finita così: per tutta la durata della sua pièce ho tenuto un occhio al palco e uno a lui, che sedeva due file davanti a me, sperando che si voltasse e capisse che l’avevo riconosciuto e stavo apprezzando. Ma perché avrebbe dovuto voltarsi? Si limitava a masticare nervosamente una gomma americana sperando in cuor suo, presumo, che finisse presto la tortura degli applausi e delle risate. Avanzando sul proscenio a fine serata, poi, la Finocchiaro ha rivelato che in platea c’era l’autore e in un generale “Ooooh” di sorpresa Fontana ha dovuto quasi alzarsi, quasi voltarsi e quasi sollevare un braccio in segno di ringraziamento. Poi tutti gli si sono fatti attorno per complimentarsi e dirgli che l’avevano riconosciuto subito ma volevano lasciarlo in pace. Io me ne sono tornato a casa.

[Il resto della rubrica, in cui Francesco Savio rivela l'identità di Arcisterco, si trova come ogni lunedì su Quasi Rete.]