Scusate, ancora calcio.
"Voglio vedere la moviola" ha detto Adriano Galliani al termine di Juventus-Milan, e spero che se lo ricordi perché l'ha detto venticinque anni fa. Marzo 1990, il Milan lanciatissimo in testa al campionato va in visita a Torino - non allo Stadium che all'epoca non esisteva e nemmeno al Delle Alpi che stava venendo tirato su per i Mondiali bensì al Comunale ancora non ristrutturato olimpicamente - e la Juventus sbriga la pratica con un 3-0 tanto significativo quasi quanto la doppietta di Rui Barros, nientemeno. L'altro goal, il primo, lo segna Schillaci. Tempo un quarto d'ora e si capisce che la partita è già finita e s'inizia a fare calcoli: la Juventus ha già opzionato Gigi Maifredi in panchina per l'anno dopo, ma con risultati del genere è il caso di silurare Dino Zoff? il Milan ha ancora un punto di vantaggio sul Napoli (42 a 41; la Juve è terza a 37; la vittoria vale due punti), basterà fino alla fine? Noi che siamo posteri sappiamo che la risposta è no a entrambe le questioni; alla Juve sarebbe convenuto tenersi Zoff e lo scudetto lo avrebbe vinto Maradona. Galliani questo se lo ricorda sicuramente, ma ricorda anche la sfilza di risultati che il Milan aveva inanellato in quei giorni di marzo? La sconfitta con la Juve era arrivata dopo diciassette giornate di campionato che avevano fruttato quindici vittorie e due pareggi, ma anche dopo i primi sbuffi che segnalavano la fine della benzina: fine febbraio, e il Milan aveva pareggiato scialbamente con la Juve la finale d'andata di Coppa Italia; inizio marzo, e il Milan aveva pareggiato in modo ben più periclitante il quarto d'andata di Coppa dei Campioni contro il Malines (per gli intenditori, in porta ai belgi giocava Preud'homme). Poi, la disfatta a Torino. Per come stavano andando le cose quel Milan meritava di perdere, figuriamoci questo che si aggrappa a Paletta costretto a inseguire gli avversari carponando. "Voglio vedere la moviola" ha detto Galliani, perché se l'avversario presenta tre volte un attaccante solo davanti al portiere è bene insufflare il dubbio che sia stato aiutato da geometrie variabili come quella del fermo immagine di sabato scorso, in cui si vede Tévez fuggire verso la porta milanista tenuto in gioco da una linea francamente obliqua. Però, se l'avversario presenta tre volte un attaccante solo davanti al portiere, significa soprattutto che uno può guardare la moviola a ripetizione per il resto dei suoi giorni ma la triste verità è tutt'altra: in uno scontro fra squadre di pari livello l'episodio di un fuorigioco non visto può risultare dirimente, ma in una partita di tiro a segno con birilli quale è stata Juventus-Milan attaccarsi al centimetro perduto equivale alla negazione dell'evidenza. Valeva venticinque anni fa e vale ancora oggi, altrimenti la storia non è magistra di niente che ci riguardi.