Le Tour, jamais (3)
Terza puntata della storia prima felice poi dolentissima di come Gianni Bugno, nonostante l'evidente superiorità su quasi tutti i concorrenti, neanche nel suo miglior Tour de France riuscì a vestire la dannatissima maglia gialla. Cliccate qui per la prima e per la seconda puntata.
Inutile girarci intorno, la scena madre del Giro d’Italia
1992 è Miguel Indurain in maglia rosa che, nella cronometro conclusiva in
Lomellina, acchiappa Chiappucci, partito ben prima di lui, affibbiandogli un ritardo
complessivo di cinque minuti. Ciò non impedisce al diavolo della Carrera di
arrivare secondo in classifica generale, in maglia verde di miglior scalatore,
ma significa al contempo due cose. Anzitutto deprezza il piazzamento di
Chiappucci, relegandolo su un gradino del podio piccolo piccolo visto che non è
mai stato in grado di impensierire il gran navarro. Ma chi lo è? La seconda
conseguenza è infatti che la sfida rimandata al successivo Tour è di fatto
velleitaria, ché per staccare Indurain bisogna inventare qualcosa che nemmeno
il creativo, incontenibile, a tratti folle Chiappucci è mai riuscito a scovare.
Incuriosisce piuttosto la preparazione di Bugno. Già tipo ombroso di suo,
aggiunge mistero a mistero con una preparazione in chiaroscuro negli undici
mesi che precedono la corsa gialla: ad agosto 1991 vince la classica di San
Sebastian, in riva all’Atlantico, proprio lì donde partirà la Grande Boucle dell’anno
dopo; a settembre vince il Mondiale su strada a Stoccarda, infilando in volata
Stephen Rooks e lo stesso Indurain ma alzando le mani troppo presto e
rischiando di finire uccellato a sua volta sul millimetri estremi della linea
di traguardo. Poi sparisce. Forte di questi due auspici (San Sebastian, e
davanti a Indurain) entra in un lungo periodo di latenza che culmina nella
scelta di non partecipare al Giro del ’92 e lasciare che sia Chiappucci a
venire messo sulla graticola. Decide insomma di diventare Lemond e come lui
salta la corsa rosa; poiché il Mondiale l’ha vinto, il Giro anche, il tricolore
pure, sceglie di investire tutte le forze della primavera nella preparazione
della corsa estiva. A San Sebastian si vedrà.
Il 4 luglio, nei Paesi Baschi, Indurain riparte esattamente
da dove aveva concluso: va più forte persino di Thierry Marie, vince il prologo
e dà già 12” a Bugno e 14” a Lemond. Giallo era partito e giallo è arrivato, ma
sa che tenere la maglia dal primo all’ultimo giorno è impresa sfiancante. Come
tutti i grandi generali, Indurain è prudente e lascia che alla tappa successiva
Alex Zülle, l’occhialuto svizzero che lo segue a 2” in classifica, vada a
prendersi un abbuono intermedio sufficiente a scavalcarlo. Poi, quando arriva
l’Alto de Jaizkibel, sul quale Bugno aveva fatto danzare la furlana in agosto,
si forma un gruppetto con gli attaccanti più in forma: c’è Bugno, ovviamente,
c’è Indurain, ci mancherebbe, ci sono Chiappucci e Chioccioli, c’è Breukink, c’è
Leblanc. Manca solo Greg Lemond. È la fine di una storia d’amore; il Tour sa
essere fedele per anni ma all’improvviso si rivela volitivo e cambia i suoi
favori. Lo Jaizkibel sancisce che il tempo di Lemond è finito (dopo di lui
nessun altro americano vincerà il Tour de France) anche se nella discesa il
gruppo tornerà compatto.
Si annunzia dunque un Tour scoppiettante, come conferma il
successivo arrivo a Pau di una fuga bidone, in cui si rivela Richard Virenque:
con gli altri due fuggitivi prende un margine massimo di 22’ e al traguardo, dopo
235 km di avanscoperta, guadagna la maglia gialla arrivando con 5’ di vantaggio
su un gruppetto così composto, in ordine di volata: Bugno, Chiappucci, Mottet,
Indurain. Sono passati due giorni e i duri hanno già cominciato a giocare. In
classifica dietro Virenque c’è Indurain a 4’34”, Bugno lo segue due secondi
appresso e dà l’impressione di sfidarlo alla pari, Chiappucci è quinto a cinque
minuti e Lemond, ancora inconsapevole del proprio funerale, decimo con lo
stesso tempo di un onesto pedalatore che si chiama Pascal Lino. Questi il
giorno dopo sorprende il mondo della birota infilandosi in un’altra fuga
bidone, arrivando con 7’ di vantaggio a Bordeaux non avendo tirato per un metro
in quanto compagno di squadra di Virenque e sfilandogli la maglia gialla. Bugno,
come Mao, potrebbe dire che la situazione è eccellente poiché grande è la
confusione sotto il cielo di Francia: non essendoci squadra padrona e cambiando
leader oggi, cambiandolo domani, un bel giorno la maglia gialla potrebbe
toccare a lui. Se lo meriterebbe. A Libourne la sua Gatorade sfodera una prova
maiuscola, perdendo qualche secondo dalla Carrera ma guadagnando mezzo minuto
sulla Banesto: ora in classifica c’è davanti lui, con 14” sul rivale italiano e
27” sul mammasantissima ispanico; ma non casca davanti a tutti perché lo
precedono i trionfatori delle fughe bidone, Lino per cinque minuti e Virenque
per tre. Il giorno dopo, a Wasquehal sul Passo di Calais, arriva un’altra fuga
con vantaggio cospicuo e Bugno viene scavalcato anche da Bauer e Heppner, fermi
restando i rapporti di forza fra i favoriti. A Bruxelles Chiappucci capisce
l’andazzo e s’infila in una fuga pure lui (c’è anche Lemond); Bugno è troppo
timido o forse un po’ snob per mettersi a correre dietro alla madness of the crowd: resta tranquillo a
marcare a uomo Indurain e con lui arriva a quasi due minuti di distanza.
Evidentemente ritiene che la corsa sia affare fra loro due; probabilmente non
gli pesa più di tanto che la classifica, a sera, dica Chiappucci terzo a 3’34”,
Lemond addirittura quarto a 4’29”, Bugno settimo aggrappato stretto al mezzo
minuto scarso di margine su Indurain.
Nel disinteresse dei pretoriani della Banesto continuano ad
arrivare al traguardo fughe su fughe fino a che, alla nona tappa, non arriva la
cronometro del Lussemburgo. Sessantacinque chilometri al termine dei quali
andrebbero stilate due classifiche. Una dovrebbe recitare: vincitore Armand De
Las Cuevas, il francese stempiato col cognome spagnolo, dietro di lui Bugno a
41”, Lemond a 1’04”, Lino a 1’06” e così via. L’altra classifica dovrebbe
includere solo e soltanto Miguel Indurain, che fa corsa a sé vincendo con tre
minuti di vantaggio sul compagno di squadra De Las Cuevas, 3’41” su Bugno,
4’04” su Lemond, 4’06” su Lino e così via. Indurain è inumano. Indurain ha
percorso il primo terzo di gara alla media di 57 chilometri orari. Indurain va
in moto, non in bicicletta. Non prende la maglia solo perché il colore giallo
dà forze suppletive alla corsa disperata di Lino, che buon corridore quantunque
sa di avere i giorni contati pur non sapendo quanti: Indurain lo ha nel mirino,
a un minuto e mezzo, e alla peggio gli basta aspettare la cronometro conclusiva
per papparselo. In mezzo, però, ci sono le montagne.
Ci si arriva con calma, andando prima verso le Alpi, dopo
tre tappe finalmente normali. Il menu del 18 luglio prevede Saisies, Iseran e
Sestriere, anzi, Sestrières. Chiappucci passa in testa a tutti e tre i colli per
rafforzare la leadership nella classifica degli scalatori, inanellando 125 km
di fuga secondo quella che al Tour di quest’anno appare un’usanza. Sulla
seconda cima Bugno continua a marcare Indurain: è sicuro che stavolta
Chiappucci vada a schiantarsi, nonostante che abbia accumulato cinque minuti di
vantaggio, e che vada fatta la corsa al ritmo del navarro. Sbaglia, bisognava
attaccare subito, se si avevano gambe; era l’unico grimaldello per far saltare
il ciclismo razionale di Indurain, contrapporre al suo cronometro di implacabile precisione un orologio squagliato dal sudore e dalla fatica immane. Bugno e
Indurain gambe ne hanno: iniziano la rimonta sul Moncenisio e, man mano che la
cima del Sestriere s’avvicina, il vantaggio di Chiappucci s’assottiglia
visibilmente. Sull’ultima salita Indurain passa davanti a Bugno e piazza una
progressione cingolata. All’arrivo paga 1’45” da Chiappucci ma nei chilometri
conclusivi è riuscito a dare un minuto abbondante a Bugno, colpito e affondato.
Fra la crono e la prima salita vera, la superiorità mostrata da Bugno per
undici mesi e la scelta di puntare tutto sul Tour per giocarsela alla pari sono
andate a farsi benedire: in classifica, Indurain ha 1’42” su Chiappucci e 4’20”
su Bugno.
Il giorno dopo però c’è l’Alpe d’Huez, preceduta da
Monginevro, Galibier e Crox de Fer. Bugno ha vinto lì nelle ultime due edizioni
e tenta la terza impresa; anzi la tenta in grande, negli ultimi dieci
chilometri del Galibier che com’è noto sono lunghissimi. Si porta via un
gruppetto con compagni di razza come Chioccioli e Fignon in grado di aiutarlo
nell’ascesa, staccando Indurain di un minuto e mezzo: ci sono altre due
montagne per accumulare altri tre minuti e vestirsi di giallo come fece
Chiappucci, come ha fatto Virenque, come hanno fatto Pascal Lino e tanti altri
nomi ben più dimenticabili. Così ragiona Bugno e rimuginando s’attarda; in cima
Chioccioli gli dà un mezzo minuto, poi in discesa Chiappucci e Indurain
iniziano a fare il diavolo a quattro e se lo rimangiano prima della Croix de
Fer. La salita ricomincia e si stacca, in discesa rincorre e rientra ma l’Alpe
d’Huez stavolta non è amica, è un Golgota. In cima perde nove minuti dal
vincitore Hampsten, quello del Gavia nevoso, e sei da Chiappucci e Indurain
appaiati; in classifica da terzo diventa quinto, a 10’9” dalla maglia gialla.
Nel frattempo Lemond ha approfittato di un rifornimento per ritirarsi, ironia
della sorte, schiantato dall’inseguimento a Bugno sul Galibier.
A una manciata di tappe dal termine, di cui una cronometro a
immagine e somiglianza di Indurain, resta dunque una faccenda fra Chiappucci e
il navarro, che si marcano a Saint Etienne e a La Bourboule. Qui arrivano in
gruppetto e Bugno è con loro, prova d’orgoglio. Solo a Tour, diciottesima
tappa, si rivede una volatona in questo Tour impazzito; segue, a Blois, il
temuto contre-la-montre. I tifosi di Bugno, che condividono il suo carattere
acuto e sensibile, sanno commuoversi e lo fanno senza meno vedendolo sfrecciare
dando due minuti a Chiappucci, quattro a Lino che lo precedeva in classifica e
cinque ad Hampsten che era terzo. Davanti a lui, sai che sorpresa, arriva
Indurain, con soli 40” di vantaggio; se la corsa fosse durata duecento metri di
più, lo spagnolo avrebbe riacciuffato Chiappucci (che chiude a 2’53”) per la
seconda volta in stagione offrendo una replica con colori diversi.
Finisce alla Défense, il quartiere futuribile dove Parigi
sembra Seul e dove campeggia un nuovo spigolosissimo arco di trionfo sotto il
quale, spiegano le guide, potrebbe infilarsi con comodo tutta Notre-Dame. Alla
partenza della tappa-sfilata che porterà sui Campi Elisi Indurain ha 4’35” di
vantaggio su Chiappucci e 10’49” sul povero Bugno, nonostante l’indomita coda.
Gli altri non hanno distacchi, hanno fusi orari. Sul podio sorridono tutti e
tre, perfino Indurain che è uno che non cambia mai espressione.
(3-continua)