Vero, per qualche giorno è stato chiuso e inaccessibile come una vergine col suo unicorno d'ordinanza. Ora finalmente Books Brothers è nuovamente aperto al pubblico, guardacaso con un intervento scritto da me.
lunedì 31 marzo 2008
Comunicazione di servizio
Vero, per qualche giorno è stato chiuso e inaccessibile come una vergine col suo unicorno d'ordinanza. Ora finalmente Books Brothers è nuovamente aperto al pubblico, guardacaso con un intervento scritto da me.
Tranquilli, vinciamo
I politologi concordano sull'evenienza che in Italia si tende a votare sempre allo stesso modo; quest'anno, tuttavia, non solo si sono sfaldate le tradizionali coalizioni ma soprattutto quasi tutti i partiti sulla scena nel 2006 si sono rimescolati dando vita a un panorama politico che appare del tutto nuovo.
Appare e basta, tuttavia; in realtà è sempre lo stesso. Per prima cosa, i passaggi di voti da una coalizione all'altra ci sono già stati e sono stati quasi tutti dal centrosinistra al centrodestra, visto che il governo Prodi ha dato tanto cattiva prova di sé. Il centrodestra, invece, non può essere votato da meno persone dei fedelissimi che l'hanno tenuto a galla nel nero 2006. Piuttosto si tratta di ridefinire i rapporti interni alle singole ex coalizioni: ossia quanti voti si sposteranno dal Partito Democratico alla Sinistra Arcobaleno e viceversa, e quanti dal Popolo della Libertà all'Unione di Centro o a La Destra e viceversa.
Le proporzioni, tuttavia, resteranno presumibilmente invariate. Per questo i risultati delle elezioni del 2006 sono preziosi per intuire chi vincerà nel 2008.
Due anni fa la situazione era questa: Prodi e la coalizione di centrosinistra erano uniti e particolarmente forti, mentre Berlusconi aveva una coalizione sfaldata e al minimo dei consensi. Ragioniamo: il calcolo del trasferimento dei voti, pari pari, dai partiti del 2006 ai partiti del 2008 può illustrare il worst case scenario, il peggior scenario possibile: quello in cui i partiti di sinistra non perdono un voto e Berlusconi non ne guadagna nemmeno uno.
Male che debba andare, dunque, alla Camera i risultati delle prossime elezioni saranno questi:
Partito Democratico (Ulivo + metà Rosa nel Pugno) 32,57% 174 seggi
Italia dei Valori 2,30% 12 seggi
Coalizione FAUSTO BERTINOTTI 10,22% 55 seggi
Coalizione ENRICO BOSELLI 1,98% 0 seggi
Lega Nord 4,58% 37 segg
Coalizione SILVIO BERLUSCONI 42,55% 340 seggi
Coalizione PIERFERDINANDO CASINI 6,76% 36 seggi
Coalizione DANIELA SANTANCHÈ 0,60% 0 seggi
Considerazioni a latere. Innanzitutto, ho tenuto presente esclusivamente l'Italia, con l'esclusione del seggio uninominale della Val d'Aosta e dei dodici seggi assegnati all'Estero, perché tali seggi sono ininfluenti ai fini del cospicuo premio di maggioranza. Questo significa che il numero di 340 deputati per Berlusconi è il minimo, e direi che è un minimo piuttosto tranquillizzante. Inoltre dalle note che ho messo fra parentesi va notato come abbia considerato la maggior stabilità possibile per ogni partito: cioè non ho considerato che Casini perderà i voti di Giovanardi (dall’Udc al Popolo della Libertà), Berlusconi perderà i voti di Storace (dal Popolo della libertà a
In definitiva, basta leggere i dati del 2006 per capire che allo stato delle cose fra due settimane la coalizione che sostiene Berlusconi avrà circa sette punti di vantaggio su quella che sostiene Veltroni. Scommettiamo?
Domani vi fornisco i risultati del Senato. Vi assicuro che sono divertenti.
sabato 29 marzo 2008
Dimmi per chi voto
Poiché il premio di maggioranza comporta però di prendere in considerazione non tanto i partiti quanto le coalizioni, riguardo a esse la situazione è tale:
Lo Stato dei Licei, 15: il sesso degli angeli
Dallo stesso volume di Italo Svevo sappiate che deriva il titolo di questo blog effimero e tecnicamente inesistente, potenziale palestra di più alti cimenti letterari che di questo passo non arriveranno giammai. Scrive infatti Italo Svevo: Io credo, sinceramente credo, che non c’è miglior via per arrivare a scrivere sul serio che di scribacchiare giornalmente. Si deve tentare di portare a galla dall’imo del proprio essere, ogni giorno un suono, un accento, un residuo fossile o vegetale di qualche cosa che sia o non sia puro pensiero, che sia o non sia sentimento, ma bizzarria, rimpianto, un dolore, qualche cosa di sincero, anatomizzato, e tutto e non di più. Altrimenti facilmente si cade, - il giorno in cui si crede d’esser autorizzati di prender la penna - in luoghi comuni o si travia quel luogo proprio che non fu a sufficienza disaminato. Insomma fuor della penna non c’è salvezza. E ora, Silvia G:]
Gurrado, com’è noto la necessità aguzza l’ingegno; in età giovanile, poi, la mente è ancora elastica, fresca e fantasiosa, e può arrivare a partorire espedienti estremamente creativi per divincolarsi dagli impicci, soprattutto quando le giovani menti in questione appartengono a studenti liceali e gli impicci altro non sono che le temibili interrogazioni quotidiane. Il bisogno tramuta spesso gli alunni della Terzaddì in fini psicologi, pronti a cogliere le debolezze caratteristiche di ogni insegnante e a servirsene conseguentemente per portare avanti i propri interessi; così, volendo distrarre la professoressa di scienze da un’interrogazione programmata, l’arguto alunno inscenerà durante la sua ora un dibattito a proposito delle incredibili difficoltà che gli studenti usciti dal liceo classico incontrano nell’affrontare i test d’ammissione alle facoltà di medicina o di scienze naturali, argomento assai caro alla professoressa Selli, che da sempre vorrebbe organizzare corsi extrascolastici di approfondimento scientifico proprio per questo motivo. Oppure, durante le ore di filosofia, i giovani birbanti distrarranno la professoressa Arcangelo dall’idea di fissare il compito in classe su Sigmund Freud proponendo di appisolarsi tutti quanti sopra i banchi, al fine di sperimentare la bontà de L’interpretazione dei sogni, opera dello stesso Freud, al risveglio.
Nel caso della professoressa Allori, insegnante di storia dell’arte, la fantasia dei membri della Terzaddì può trovare ristoro, essendo l’Allori persona estremamente eccentrica e fortemente predisposta alla pazzia. Sin dalla tarda adolescenza ella si è chiusa nel suo universo di opere d’arte, estraniandosi dal resto del mondo e trovando il pieno appagamento dei sensi soltanto nel rimirare affreschi rinascimentali, pitture impressionistiche e sculture neoclassiche. Per di più, l’Allori pare aver scelto il movimento dadaista come modello di vita, e si diverte a vestire in maniera eccentrica e a coniare nuovi creativi termini tecnici (tra i tanti spicca “pangeocromatico”, letteralmente: “che contiene in sé i colori di tutta
La stravagante professoressa interroga di rado e con scarsa severità (la prima e unica domanda che mi abbia posto è stata: -Dimmi, Silvia G, i famosi Bronzi di Riace li preferisci da davanti o da dietro?-, premurandosi poi di comunicarmi che lei li preferisce da dietro), ragion per cui generalmente gli alunni non sentono la necessità di ricorrere a espedienti originali per distrarre l’Allori, trovando invece le sue lezioni più che mai gradevoli e spassose.
Capitò tuttavia un giorno che anche la professoressa di storia dell’arte, oppressa dalla necessità di racimolare qualche voto sul suo registro prima degli scrutini di fine anno, decidesse di interrogare, mettendo in allarme tutti i membri della Terzaddì, i quali subito provvidero a correre ai ripari. Dopo che l’Allori ebbe arditamente pregato Giovanni T di descrivere lo splendido tondo della Madonna del Magnificat, nel quale Botticelli ritrae
L’Allori, colta alla sprovvista, esitò perplessa; evidentemente mai s’era posta una simile domanda, prima di allora. Intervenne dunque l’alunno Ruggero F, buono e degno amico di Giovanni T:
-A parer mio, si tratta indubbiamente di maschi. Mai si è infatti sentito parlare di angelE, ma sempre e soltanto di angelI.
-Mi permetto di contraddirti!-, obbiettò Alberto I, -Indicando gli angeli esclusivamente al maschile si potrebbe intendere “genere angelico”, così come parlando di “uomini” si fa di solito riferimento al genere umano tutto, donne comprese.
-I tratti dei soggetti in questione-, continuò Giovanni T, -lasciano inoltre pochi dubbi: essi sono delicati, soavi, eterei. Tutte caratteristiche che meglio si associano al sesso femminile che a quello maschile.
-Si tratta di giovani di carnagione chiara-, proseguì risoluto Ruggero F, -comprenderete che l’aspetto efebico è giustificato!
La professoressa lasciava discorrere i suoi alunni, visibilmente confusa e altrettanto mortificata: in quanto insegnante di storia dell’arte avrebbe dovuto essere lei stessa a sciogliere i dubbi degli studenti; eppure, quella domanda la lasciava attonita e priva di argomentazioni.
-Io ritengo che siano maschi!-, esclamavano alcuni.
-E io invece penso che siano femmine!-, obbiettavano altri.
A risolvere definitivamente la disputa intervenne il sospirato suono della campanella, che col suo vivace trillare pose fine ad un’ora in cui, come spesso accade nei licei classici, si era vanamente discusso sul sesso[NdG: La commissione di vigilanza della Rai, ritenendo che un dibattito del genere avvantaggi smaccatamente i temi avallati dalla lista di Giuliano Ferrara, in ottemperanza alle vigenti norme della par condicio rimuove Silvia G dal suo quaderno e quindi il manoscritto termina qui.]
venerdì 28 marzo 2008
Scusate, dove sono?
Due considerazioni a latere del grafichetto:
1) risulto più a destra di Berlusconi, e vabbe', ma anche di Storace, perbacco;
2) ciò nonostante sono meno vicino alla Sinistra Arcobaleno che alla Sinistra Critica e al Partito Comunista dei Lavoratori.
Infine, va rilevata la completa assenza di Giuliano Ferrara e della lista "Aborto? No Grazie", l'unico altro partito che potrei prendere in considerazione di votare se il Pdl non ci fosse e non si potesse inventarlo.
giovedì 27 marzo 2008
Io sono qui
Tradotto, mi trovo esattamente a mezza strada fra la faccina di Casini e il faccione di Ferrara. Trattandosi di un grafico desunto dal sito de La Repubblica, non è assolutamente attendibile.
martedì 25 marzo 2008
L'errore anagrafico
Dante Virgili ha un nome che sembra uno pseudonimo, ma non lo è, e una fama che ormai lo precede, ma che curiosamente ha seguito la sua morte. La scarna biografia in terza di copertina informa che è nato a Bologna nel 1928 ed è morto a Milano nel 1992, forse contravvenendo all’esplicita indicazione che aveva lasciato in Metodo della Sopravvivenza (peQuod, 2008): “Bisogna cercare di non morire in un ospedale a Milano”. Curiosamente, Dante Virgili è stato famoso in vita sotto altri nomi, pseudonimi meno surreali di quello vero, quale autore di libri per ragazzi e western. Nel
Volendo essere estremamente sintetici, il caso editoriale in questione può essere così riassunto: vale la pena di pubblicare un autore dichiaratamente affascinato dal nazismo? Ora, se consideriamo la questione da un punto di vista politico, un ipotetico nazista potrà obiettare che lo stesso criterio potrebbe essere applicato ai sostenitori di qualsiasi altra ideologia che possa aver portato a risultati più o meno assimilabili, ragionamento che ci condurrebbe in un vicolo cieco e molto probabilmente in un circolo vizioso di controrecriminazioni, quindi meglio lasciar perdere. Se invece consideriamo la questione da un punto di vista etico, dobbiamo dedurne che essendo il nazismo un male oggettivo, chi lo propugna dev’essere ridotto a tacere; questo però comporta che bisognerebbe a priori definire la quantità minima di male necessaria alla censura, ponendo un’asticella sopra la quale si deve imporre il silenzio. È troppo complicato e soprattutto inutile: per fortuna la letteratura non è filosofia, quindi deve occuparsi della forma e non dei contenuti. Altrimenti, si finisce per proibire la lettura di Delitto e Castigo allo scopo di salvaguardare la cervice delle vecchiette affittacamere, o Moby Dick per combattere l’estinzione delle balene bianche. Chi ama la letteratura non bada troppo a cosa c’è scritto.
Per questo ritengo che l’unica domanda da porsi riguardo a Dante Virgili debba essere: scrive bene o no, ovvero vale la pena di pubblicarlo? Per rispondere adeguatamente, credo che aiuti leggere il suo ultimo romanzo, pubblicato postumo pochi mesi fa da peQuod. Metodo della Sopravvivenza è la storia della disperata estate di un professore di tedesco, che nel 1990 vede i suoi ideali (nazisticheggianti) di supremazia germanica ridotti al trionfo calcistico di Matthäus e soci alla fine dei mondiali di calcio. Il lettore avveduto, che sappia della vita di Virgili quel minimo che è scritto in terza di copertina, potrà notare una notevole consonanza fra l’autore e il protagonista anonimo: non tanto nella rispondenza fra i loro discutibili ideali quanto nell’essere entrambi nati fuori tempo massimo, ed essere quindi immersi in ambienti a loro del tutto estranei. Così come Virgili pare vittima di un errore anagrafico, per essere vissuto sfasato rispetto alla diversa gloria letteraria che lo ha atteso e per essere morto una decina d’anni prima che s’iniziasse a parlare insistentemente di lui, il professore di tedesco che vagola per
Innanzitutto, come ho già detto, il calcio. L’estraneità del protagonista alla passione nazionalpopolare è enorme, oltre che decisamente indicativa. Il fatto che nemmeno sappia chi sia Schillaci, l’uomo che ha fatto impazzire tutta Italia per un mese, non poteva essere più icastico al proposito; e così la distante notazione della tragedia nazionale, l’eliminazione ai rigori contro l’Argentina di Maradona. Ciò che emerge è la creazione generalizzata e supinamente accettata di un nemico fasullo (l’Argentina in questo caso) per tacitare gli istinti bellici; che allo stesso modo rende di plastica il dominio della Germania sul mondo, concepito da Hitler coi carri armati e realizzato da Matthäus coi palloni di cuoio.
Questa sperequazione fra le proiezioni del professore e la realtà effettiva si verifica anche quando, con una mossa a sorpresa, l’Iraq occupa il Kwait nell’agosto dello stesso 1990. L’istinto bellico parrebbe spostarsi dalla sublimazione calcistica al secondo campo d’interesse che circonda l’anonimo professore, e che potremmo definire col generico nome di politica. Se non che la politica stessa, a fronte dell’alzata d’ingegno di Saddam Hussein, in Italia si riduce a politichetta, si accartoccia su sé stessa: estremamente indicativo al riguardo è l’attrito semantico fra il titolo del Corriere della Sera che annuncia roboante la “guerra” all’imbocco della penisola araba e quello, più modesto, che riferisce della “battaglia” al Senato sulla legge Mammì (liquidata dal professore, e da Virgili, con una considerazione nazi-snob: “Donnerwetter, non ascolto i programmi di Berlusconi”). Stesso discorso vale per l’ondata di melassa che ha investito la caduta del muro di Berlino, e la considerazione – ovviamente sgradita al professore – che una Germania unita deve necessariamente accettare a priori di essere una Germania debole.
Resta il sesso. Se il calcio, stando a una diffusa definizione progressista, è un sedativo reazionario, al contrario il sesso diventa per il professore da un lato l’unico possibile esercizio del proprio dominio sulla vita altrui, dall’altro anche l’unico possibile contatto con gli esseri umani di là dai fugaci saluti con giornalaio e barbiere. Negli spericolati e acrobatici rapporti erotici del professore con donne e uomini (ma niente animali, va specificato), Dante Virgili pare rifarsi a due modelli: sia a Sade, con la catalogazione di una serie crescente di perversioni atte non tanto a provare un piacere sempre superiore quanto a gestirlo sapientemente e razionarlo, risparmiandolo quasi grazie all’avveduta escalation; sia, più ironicamente, a Belli (“Bast’a sapé ch’ogni donna è puttana / e l’ommini una manica de ladri”), facendo leva sull’avidità delle signore, alle quali offre denaro che poi loro, per puttanesimo intrinseco, finiscono per rifiutare dopo aver compiuto il relativo misfatto, così come su quella dei signorini, per comprare i quali basta la promessa di poter sfogliare o prendere in prestito qualcosina dall’ampia collezione di giornaletti sadomaso che il professore non si perita nemmanco di nascondere a dovere.
Il secondo e ultimo romanzo che Virgili ha firmato col proprio nome supera, a mio modo di vedere, la dicotomia fra romanzo paranazista o filonazista sulla quale ci si è a lungo esercitati cinque anni fa per
venerdì 14 marzo 2008
Lo Stato dei Licei, 14: la lotta di classe
Gurrado, oltre ad essere magistra vitae la storia condiziona sensibilmente il tempo presente; il liceo classico, col suo studio del passato, col suo recupero dell’antico, con la sua capacità di far risorgere ciò che da vari secoli è morto, ne è un esempio lampante. Tuttavia, nei licei odierni non si trovano tracce del solo passato remoto, ma anche di quello più prossimo: i cosiddetti collettivi (o assemblee di classe, che dir si voglia) altro non sono che residui delle lotte studentesche degli anni di piombo, che al Voltaire si sono trasformati in ghiotte occasioni per inscenare dibattiti che ruotano intorno agli argomenti più svariati, dalle lamentele per l’eccessivo carico di studio ai risultati dell’ultima partita di calcetto, dal rincaro del costo delle merendine alla penuria di gesso da lavagna.
Poco prima delle vacanze di Natale, il sommo dirigente esige che tutte le classi del liceo Voltaire indicano un collettivo per decidere la meta dell’annuale gita scolastica (o viaggio d’istruzione, che dir si voglia) di primavera, ragion per cui in Terzaddì è stato necessario toccare l’argomento, con conseguenze a dir poco catastrofiche. Si dà infatti il caso che la sezione, alquanto predisposta alla polemica interna, non perda mai occasione per dividersi in due opposti schieramenti, formati quasi sempre dalle stesse persone, che si scontrano puntualmente su qualsivoglia argomento. Il primo e più numeroso schieramento, composto da dieci individui, è solito mantenere posizioni anarchiche e rivoluzionarie; il secondo, che conta invece nove militanti, preferisce definirsi moderato e conservatore.
Al momento di decidere la meta della gita scolastica, dunque, sono state avanzate in Terzaddì due differenti proposte: il partito rivoluzionario, formato evidentemente da cittadini del mondo, suggeriva di recarsi all’estero, preferibilmente in Francia; il partito conservatore riteneva invece vergognoso visitare Paesi stranieri quando non si conosce approfonditamente la propria nazione, e consigliava dunque di rimanere entro i confini del territorio italiano, propendendo per qualche regione lontana e ignota ai più.
-Sciocchezze!-, controbattevano i rivoluzionari, -I contributi provinciali ci danno la possibilità di espatriare, di entrare in contatto con culture e lingue differenti, di assaporare nuove gastronomie! Come possiamo rinunciare a una simile occasione?
-Stupidaggini!-, obbiettavano i conservatori, -Le regioni italiane sono tante ed estremamente varie! Spostandosi di pochi chilometri ci si può trovare davanti a realtà completamente diverse! E, soprattutto, quale gastronomia straniera è migliore della nostra?
-Bestialità!
-Scempiaggini!
-Ottusità!
-Scimunitaggini!
-Eresie!
Le stesse rappresentanti di classe, ovvero Eleonora F e la sottoscritta Silvia G, si trovavano per la prima volta in forte disaccordo tra loro, desiderando l’una recarsi all’estero per esercitare la propria padronanza della lingua francese a spese della provincia, l’altra spostarsi in una nota città del Nord Est italiano per andare a trovare il fidanzato (sempre a spese della provincia). Esse dunque, che unite riuscivano ad esercitare la loro grande autorevolezza con facilità, non furono in grado di gestire la situazione, e provvidero a discutere animatamente assieme ai compagni:
-Esimia collega, la tua trovata di espatriare in Francia non mi trova d’accordo.
-Esimia collega, non ti trovi d’accordo solo perché vuoi portare avanti il tuo mero interesse personale.
-Perché, tu forse non fai altrettanto?
-Io voglio arricchire il mio bagaglio culturale!
Si passò presto dalla vivace discussione all’insulto pesante, e dall’insulto pesante alle minacce, e dalle minacce agli sberleffi, e dagli sberleffi alla rissa: i conservatori tentavano di lapidare gli avversari col consueto gesso da lavagna; i rivoluzionari, barricati dietro la bancata di sinistra, rispondevano al fuoco con tubetti di colla, moncherini di matita e tappi di penne a biro.
-Patria!-, gridavano gli uni.
-Espatrio!-, ribadivano gli altri.
Gli scontri proseguirono per diversi minuti, e il pavimento della Terzaddì si era trasformato in un vero e proprio campo di battaglia. Date le urla selvagge degli studenti, tuttavia, il sommo dirigente scolastico, il quale passava per caso tra i corridoi, irruppe clamorosamente in aula, con gran spavento di tutti, e colse l’alunno Alberto I intento a sbattere il naso contro il ginocchio dell’alunno Giovanni T, Susanna L che trafiggeva con una matita il palmo della mano di Emanuele T procurandogli una sorta di solitaria stigmate, e infine Eleonora F e la sottoscritta che si tiravano reciprocamente i lunghi capelli, contorcendo nel contempo i loro volti in smorfie che avevano invero ben poco di umano.
Dopo varie minacce di sospensione e di annullamento della gita scolastica, è stato stabilito all’unanimità che la classe Terzaddì, nel mese di maggio, poco prima dell’esame di maturità (o di Stato, che dir si voglia) si recherà con un pullman nella Repubblica di S. Marino, luogo che certo ha il merito di accontentare sia i rivoluzionari che ambiscono all’espatrio, sia i conservatori che si vogliono mantenere su suolo nazionale. E, alla fine dei conti, né gli uni né gli alt[Nota di Gurrado: Silvia G, colpita proditoriamente al cuore da un cancellino sporco lanciato da Eleonora F, si accascia al suolo e il manoscritto termina qui]
L'antianniversario
Ho in uggia tutti i compleanni, le ricorrenze, gli anniversari – e non solo quelli dell’Inter. Nei momenti di particolare sconforto, o livore dell’animo, me ne esco dicendo che i compleanni sono il ricamo intessuto dalla morte sul tempo: e questo mi aliena le simpatie di molti festeggiati nonché buona parte degli auguri ogni volta che anno dopo anno il mio turno si presenta. In particolare, non tollero le celebrazioni calcistiche ufficiali: esposizione di trofei su palchetti prefabbricati, apoteosi in pullman turistico, anniversari con gran ripescaggio di campioni del passato costretti a indossare la maglia del giorno corrente, poco gloriosa e poco poetica, su panze rimpinguate e muscoli sfilacciati, finendo per sembrar ridicoli come un nonno in calzoni corti.
Per questo sabato non ho degnato di uno sguardo i festeggiamenti nerazzurri: e, sia chiaro in principio, medesimo trattamento avrei destinato a festeggiamenti rossoneri, o giallorossi, o bianconeri, o – che ne so – arancione e viola a pois. Nel calcio la storia è quotidiana, e festeggiare il compleanno di una squadra è discutibile come voler trarne gli oroscopi. Poiché nel mio intimo tuttavia riconosco una notevole grandezza alla storia dell’Inter, ho voluto celebrare il centenario guardando Inter-Reggina dopo aver detto un Eterno Riposo all’avvocato Prisco.
Così, mentre mi sforzavo di oltrepassare con lo sguardo i sostegni alla festa successiva, che intralciavano lo spettro visivo delle millecinquecento telecamere di Sky; mentre l’atteggiamento degli interisti tutti, dall’ottimo Massimo all’ultimo dei raccattapalle, dava la netta sensazione che l’eroe di giornata non fosse un calciatore purchessia bensì Adriano Celentano; mentre infine l’Inter ribadiva la propria indiscussa superiorità sulla Reggina, io pensavo che il tarlo che mi rovina la visione dei festeggiamenti autocelebrativi sopra o intorno a un campo da calcio è la presunzione di poter fare a meno degli avversari. L’Inter centenaria (come il Milan, e
Così nell’intervallo sono andato a ripescare un volumetto edito qualche tempo fa dall’editore Laruffa e opera dell’avvocato Giusva Branca, già responsabile della comunicazione per il presidente Foti e al momento della stesura team manager della Viola Reggio Calabria. Idoli di Carta ha una curiosa struttura che ripercorre capricciosamente la storia della Reggina, seguendo una formazione ideale che non è – né potrebbe essere – una all stars. Persico, Bagnato, Poli, Bumbaca, Gallusi, Mariotto, Rigotto, Krostelev, Bortot, Pianca, Giacchetta (con Maestrelli allenatore) è una squadra legata a doppio filo dalla sfortuna, dall’incompiutezza, dal grido che resta strozzato in gola ai tifosi.
Basti pensare alla mesta fine di Maestrelli, ennesima riprova che muore presto colui che dagli uomini è tanto amato. O al beffardo rigore segnato da Giuseppe Bagnato, terzino che non ne tirava da dodici anni, reso inutile dall’errore finale di Armenise che nel 1989 promosse
giovedì 13 marzo 2008
Escatologia per minorenni
Ho così imparato che prendere una bambina da scuola non consiste, come si potrebbe immaginare nell’aspettare davanti all’uscita della scuola, prendere per mano la bambina e riportarla dritta davanti alla porta di casa. Macchè. Prendere una bambina da scuola significa aspettare davanti all’uscita della scuola, distribuire a bambini sconosciuti delle costosissime carte dei Pokemon che la bambina aveva promesso loro con leggerezza, attendere infine che la medesima bambina trascorra un buon quarto d’ora rincorrendo tutti i maschietti che le capitano a tiro (mi sono trattenuto dal chiedere a sua madre: “Ma da chi ha preso?”).
Ci tengo a specificare incidentalmente che la bambina non è mia.
Una volta che la corsa della bambina viene intercettata, si può afferrarla a viva forza e portarla a mangiare un gelato. Per spirito d’indipendenza, la bambina chiederà solo panna montata. Nel corso della degustazione, si ha modo di apprendere che la bambina è fidanzata con Pietro, o con Alberto, o con chissà chi, per sua stessa ammissione “da quattro o cinque anni” – cosa invero sorprendente se si considera che la bambina ne ha sei. Il buongiorno si vede dal mattino: è vero che la medesima bambina ha ammesso di essere recentemente stata innamorata di un nuovo compagno delle elementari, che non l’ha corrisposta, ma tutti noi in gioventù abbiamo avuto i nostri scheletri nell’armadio e l’importante è che Pietro, o Alberto, o chissà chi non sia mai venuto a saperlo.
Questa vocazione al matrimonio non esclude istinti più alti e infatti, passando davanti alla chiesa del Carmine, la bambina ha visto che all’interno c’era il catechismo per altri bambini più grandicelli e ha voluto entrare. Io, che come dice Silvia G ho la pericolosa tendenza a convertire tutto ciò che si muove, ho voluto accompagnarla mentre la madre restava fuori. Avendo notato che non si faceva il Segno della Croce, sono stato assalito da atroci dubbi e, una volta insegnatole a farlo, le ho chiesto se sapesse perché a Pasqua era vacanza.
“Perché la scuola è chiusa”.
“Indubbiamente, ma sai il motivo per cui a Pasqua si festeggia?”
“No.”
“Perché a Pasqua Gesù è risorto.”
“Cosa vuol dire che è risorto?”
“Che era morto, e poi era vivo di nuovo.”
“Quindi si può vivere dopo essere morti?”
“Dipende. Lo sai che se fai la brava la tua anima va in Paradiso?”
“Sì.”
“Ecco, quando tutti gli uomini saranno morti le anime ritroveranno i loro corpi di nuovo vivi.”
“E saranno molto vecchi?”
“No, penso che saranno più belli del solito.”
“Quindi anche noi risorgeremo?”
“Sì.”
“E quando risorgeremo vivremo di nuovo a Pavia?”
“Oddio, spero di no.”
Intanto, per cautelarsi nel remoto caso, questo pomeriggio accompagnerà sua madre all’Ikea.
lunedì 10 marzo 2008
Tizio è Caio
Queste persone non capiscono niente, e meglio sarebbe se fossero analfabete. Si parva licet, la stessa faccenda era capitata a Proust quando aveva iniziato a pubblicare Alla Ricerca del Tempo Perduto; e meno male che la morte l’ha colto prima che venisse pubblicato il finale, altrimenti avrebbe trascorso il resto della vita a rispondere a interviste radiotelevisive su cosa succeda al narratore dopo l’ultima delle tremila pagine. All’uscita del primo volume, è certo che
Ora che ho da poco finito di rileggere il Jean Santeuil (parentesi storico-letteraria: dovete sapere che prima di scrivere
Evidentemente, Jean Santeuil è “Io”, il pronome che un lungo equivoco ha fatto identificare continuamente con Proust stesso: e così il signor e la signora Santeuil sono evidentemente il padre e la madre di “Io”, questo è pacifico. Più ardito, e divertente, è identificare i personaggi secondari – o che quanto meno non occupano la scena dalla prima all’ultima pagina; si noterà che meno il personaggio è definito, più è difficile identificarlo. Henri de Reveillon è quasi in toto Robert de Saint-Loup. Il signor di Lomperolles, che ama i giovanotti, è con ogni probabilità Charlus, ma non ha nulla della sua levità dandystica, anzi è poco più che una macchietta relegata in poche pagine. La signora Marmet, che gestisce il suo milieu tanto snobisticamente da restarne isolata, è l’imbarazzante Madame Verdurin. Il pianista Loisel è il violinista Morel, o viceversa. Perrotin ha qualcosa di Charles Swann, ma in comune hanno soprattutto la morte (mentre non mi risulta che sia scritto da nessuna parte che Perrotin è ebreo). Come riprova del fatto che sto scrivendo a memoria, non ricordo come si chiami nella Recherche il correlativo oggettivo di Marie Kossichef, l’amore infantile di Jean [nota di Gurrado: e invece, poiché contrariamente a quanto scrive mia madre rileggo sempre prima di chiudere, alla seconda passata mi sono ricordato che nella Recherche Marie è Gilberte]; mentre è curioso notare come la vedova Françoise S., che ne tormenta la giovinezza, sia un ircocervo tumultuoso che riunisce due personaggi della Recherche, Odette de Crécy amata da Swann e Albertine amata da Io, sotto il nome della domestica di Proust stesso, ossia dell’unica donna che in fin dei conti gli sia rimasta di fianco fino alla morte.
Quand’ero più giovane avevo spinto il giochino più in là, isolando Un Amore di Swann dal resto della Recherche e rinvenendo nel triangolo scaleno Io-Swann-Odette la stessa relazione con cui nel pressoché contemporaneo Ulisse Joyce lega Stephen Dedalus, Leopold Bloom e sua moglie Molly. Io/Dedalus è il giovane intellettuale, un po’ svenevole, che si pone come osservatore esterno nei confronti della vita, salvo venir travolto dagli eventi. Swann/Bloom è l’uomo di mondo che circonda Io/Dedalus di virile affetto ma che si sdilinquisce di fronte all’impossibilità di cristallizzare i sentimenti dell’amata. Odette/Molly, infine, non è propriamente infedele, quanto piuttosto sfuggente, incomprensibile, rinserrata in un segreto inaccessibile e purtuttavia facile a intuirsi: diciamo che, in maniera molto politically correct, è diversamente fedele.
Questi sono giochi che lasciano il tempo che trovano, e mi sono limitato a esporli per far vedere che nonostante le apparenze ho dei contenuti letterari seri, mica pizza e fichi. Altrimenti avreste potuto immaginarmi come un giovanotto che, seduto con sulle ginocchia l’enorme volume che raccoglie tutto Proust, lo legga pagina dopo pagina con estrema pazienza invecchiando progressivamente e crescendo al passo del Tempo perduto, progressivamente maturando e invecchiando e incanutendo fino al momento in cui, giunto vegliardo all’ultima pagina, legga accigliato la riga conclusiva e poi chiuda il volumone sentenziando: “Frocio”.
sabato 8 marzo 2008
Serata anarchica per Bianciardi
(Ugo Tognazzi)
Lo Stato dei Licei, 13: il fantasma del laboratorio
[Quando ho dei dubbi di qualsivoglia genere, ricorro al mio manuale di Storia del Liceo: Popoli e Civiltà di Antonio Brancati. Esso, per definizione, è la risposta a ogni possibile quesito, il detentore delle verità di fatto e come tale è un interlocutore vivo e presente nella mia vita, più ancora di qualsiasi persona mi passi davanti al naso: non per niente è definito, impersonato, ipostatizzato quale “il Brancati”.
Se non che qualche giorno fa ho avuto dei dubbi e, trovandomi a mille km di distanza dalla mia unica e vera copia del Brancati, ho dovuto ripiegare su un succedaneo. Ho costretto infatti un mio amico a prestarmi il suo vecchio manuale di Liceo – vecchio ma comunque più recente del Brancati, così come testimonia l’orrenda dicitura “nuova periodizzazione” stampata in grassetto poco sotto il luogo dove il mio amico aveva ritenuto opportuno appiccicare uno stemma bislucido dell’Ambrosiana Inter. La periodizzazione sarà nuova ma la storia è vecchia: perché a me non interessano le pagine ultime, in cui si denigra Berlusconi o si esaltano gli attentatori dell’11 Settembre, ma mi soffermo nei secoli che precedono il Novecento e che, per l’indebita attenzione a quest’ultimo, vengono via via compressi man mano che i manuali si stampano.
Oggi è sabato, come ogni sabato sono stanchissimo e quindi non ho voglia né tempo di indire una polemica. Voglio solamente testimoniare che ci vedo sempre meno ahimé per il concorso di vecchiaia e sfiga, quindi più leggo più mi stanco, più mi stanco meno ci vedo, meno ci vedo più mi avvicino al libro, più mi avvicino al libro più non mi limito a guardarlo ma lo odoro – anzi, se tirassi fuori la lingua, tanto poca è la distanza che mi separa dalla pagina, potrei agevolmente leccarlo e sottolineare con la saliva le date più significative (il mio amico sarà poco contento di leggere queste paginette virtuali, me lo sento). Il fatto è che, odorando il manuale del mio amico, ho avuto una reminiscenza proustiana: l’odore del suo diversissimo manuale è lo stesso odore del Brancati. Da ragazzi ci si vede bene e si studia tenendo il naso abbastanza distante da non annusare i libri; ma i successivi e più o meno necessari ripassi dei decenni seguenti rivelano l’odore invecchiato della carta. Così ho capito che nuova o vecchia perodizzazione nulla cambia, i ragazzi italiani continueranno a studiare la stessa Storia da manuali con lo stesso odore, assumendo per via olfattiva una coscienza nazionale contagiosa. E ora Silvia G, che è sicuramente meglio di queste fantasticherie sinestetiche:]
Gurrado, scienza e superstizione non sono certo due termini che vanno a braccetto: se l’uno richiama alla mente idee di conoscenza concreta, acquisita tramite esperimenti che hanno lo scopo di giungere ad una descrizione precisa della realtà, l’altro indica invece credenze irrazionali che influenzano i comportamenti umani e il pensiero senza una precisa relazione causale. Paradossalmente però, al liceo Voltaire le due cose hanno finito col confondersi tra loro, e le conseguenze di tale fusione affollano tuttora gli incubi dei più sensibili membri della Terzaddì.
Si dà infatti il caso che il liceo Voltaire, in origine, fosse un convento di padri Gesuiti, le cui ossa tutt’ora giacciono negli scantinati della scuola, luoghi accessibili unicamente al personale autorizzato (e giammai agli studenti o ai bidelli). Quest’insolita caratteristica del liceo Voltaire ha sempre inquietato e incuriosito moltissimo i suoi iscritti, al punto che sono nate numerose leggende legate ad essa, tra i corridoi. Taluni mormorano di aver sentito echeggiare delle pareti dell’edificio voci che recitavano preghiere in latino, taluni altri di aver veduto ombre incappucciate aggirarsi la mattina presto nella tromba delle scale. Tuttavia, nessuno ha mai potuto provare la presenza di fantasmi o mummie all’interno della scuola, fatta eccezione per alcuni professori.
Bisogna inoltre precisare che, varcando le porte del laboratorio di scienze del liceo Voltaire, si ha la gioia di imbattersi in un magnifico scheletro in plastica a grandezza naturale, il quale è stato chiamato Battista, in onore di un antico e illustre alunno del liceo Voltaire. Col passare degli anni e degli studenti, il povero Battista ha subìto una notevole quantità di molestie: le sue falangi sono tutte disarticolate, ha perso molti denti e la sua mandibola è legata al cranio solo grazie al nastro adesivo.
In una mattinata buia e tempestosa di metà autunno, la professoressa Selli, insegnante di chimica biologia e geografia astronomica, disperata a causa dell’inspiegabile frattura del femore sinistro del povero Battista (imputabile in verità agli alunni Ruggero F e Alberto I, due tra i più discoli membri della Terzaddì), decise di prelevare dai sotterranei del liceo Voltaire qualche antico osso di Gesuita ancora in buone condizioni e di sostituirlo col femore in plastica spezzato dello scheletro, per poter tenere la sua lezione di scienze. Presa dalla foga, portò via anche una bellissima tibia e qualche costola perfettamente conservata, e appose il tutto in mezzo alle altre ossa di poliestere.
Saputa la notizia, molti alunni si mostrarono turbati e schifati dinnanzi all’ibrido scheletro Battista. Il disgusto e la paura per quelle ossa un tempo vive crebbero col passare del tempo, e solo pochi impavidi osavano ancora molestare l’oggetto del loro orrore, il quale, ignaro di tutto, seguitava a rivolgere a chiunque gli passasse accanto cordialissimi sorrisi a trentadue denti (o, nel suo caso, a venticinque). La professoressa Selli, seppur a malincuore, si vide costretta a rinchiudere Battista in un armadio del laboratorio di scienze.
Accadde tuttavia che, durante l’esercitazione di laboratorio del trentuno di ottobre, al Voltaire saltò improvvisamente la corrente elettrica. I membri della Terzaddì, nient’affatto spaventati dalla cosa, corsero a cercare candele e pile nei cassetti e negli scaffali del laboratorio. Avvicinandosi all’armadio dov’era contenuto lo scheletro Battista, l’alunna Eleonora F udì all’improvviso sinistri scricchiolii provenire dall’interno del mobile; pareva che numerose unghie graffiassero le ante di legno, nel tentativo di aprirle. Eleonora F accese una torcia e illuminò la scena: lo scheletro Battista, vestito di un vecchio sacco di patate rattoppato, era uscito dall’armadio e fissava grottescamente nella sua direzione, col consueto sorriso stampato il faccia. Eleonora F diede a quel punto prova di mirabili doti canore, intonando un acuto altissimo e penetrante, che impressionò tutti i suoi compagni di classe più ancora dello stesso Battista, il quale nel frattempo si era mosso, e girava per il laboratorio grazie alle rotelline poste sotto agli scheletrici piedi.
I membri della Terzaddì, che avevano da poco concluso la lettura di alcuni racconti di Edgar Allan Poe (propinati dall’insegnante di letteratura inglese) ed erano dunque facilmente impressionabili, spalancarono le porte del laboratorio e uscirono di corsa, illuminando i bui corridoi della scuola con le loro torce elettriche e creando gran scompiglio tra le classi vicine. Il ritorno della corrente vide uno scheletro incappucciato aggirarsi sorridendo tra le bancate del laboratorio di scienze, finché uno spavaldo bidello, allarmato da tanto chiasso, irruppe nella stanza, intercettò il macabro responsabile dei disordini, lo bloccò e lo spogliò con decisione.
Fece dunque capolino da sotto il sacco l’alunno Ruggero F, il quale, abbracciato al povero Battista, ne coordinava i movimenti, con gran divertimento. Il resto della classe Terzaddì, presa coscienza che non si trattava di un fantasma, si armò di gesso da lavagna e, con rabbioso trasporto, prese a lapidare il mattacchione, che fu salvato dal linciaggio soltanto grazie all’intervento del sommo dirigente scolastico.
Come punizione per l’orrendo misfatto, l’alunno Ruggero F è stato costretto ad accompagnare la professoressa Selli negli scantinati del liceo Voltaire per rimettere le ossa profanate al loro posto; ha inoltre trascorso gran parte dei suoi pomeriggi autunnali a ricostruire assieme all’inquietante professoressa i pezzi mancanti dello scheletro Battista, che ora sorride felice sfoggiando un bellissimo femore di cartapesta e sette nuovi magnifici mol[NdG: piove a dirotto, il blog viene sospeso per impraticabilità di campo, per cui il manoscritto termina qui]
giovedì 6 marzo 2008
TuttoCoppe 3
Passato il singhiozzo, ho potuto radermi e fare qualche considerazione onesta riguardo al turno di Champions. Da quando è iniziato il nuovo anno, la pochezza del Real è preoccupante.
Ieri c’è stato fra l’altro un tragico fraintendimento che mi ha impedito di guardare la partita in diretta: mi sono imprudentemente allontanato dall’abbonamento a Sky grazie al quale santifico le feste, sicuro che Rai1 trasmettesse la partita dal Bernabeu. Con estrema sorpresa, mi sono ritrovato a vedere Pretty Woman, onta e beffa tanto più che detesto Julia Roberts e la sua bocca ranesca. Compulsando più accuratamente i quotidiani, mi sono accorto che
Non l’ho vista ma, in compenso, ho sentito l’eroico finale alla radio mentre venivo accompagnato alla stazione di Rogoredo. Coincidenza significativa: quando Vucinic ha segnato l’1-2, avevo un minuto e venti secondi per raggiungere Rogoredo e saltare sul treno delle 22:38, ossia possibilmente quello per Pavia. Idem, quando Vucinic ha segnato l’1-2, il Real Madrid aveva un minuto e venti secondi per fare tre goal e vincere 4-2: ma non ci sarebbe riuscito nemmeno Di Stefano, credo, nemmeno con tre palloni contemporaneamente.
Poiché immagino che i malintenzionati interisti staranno pensando che io tergiversi, parlo del Milan – anche se non ho moltissimo da dire: come avevo scritto qualche settimana fa su queste stesse pagine virtuali, (mi permetto l’autocitazione) “il Milan, fra una cosa e l’altra, può permettersi di perdere” poiché “la legge dei grandi numeri previene dal vincere
Il Siviglia, martedì, ha giocato la partita più emozionante del torneo a tutt’oggi. Si è trovato in largo vantaggio grazie alla preoccupante tendenza di Volkan, il portiere turco, a scansarsi ogni volta che un tiro lo riguardasse. A quel punto, il Siviglia ha creduto di aver completato la rimonta, e s’è dimenticata che i Turchi per definizione sono duri a morire. Maiuscola partita di Diego Lugano, che vestirei di rossonero già domani se rientrasse nelle mie facoltà. Deivid ha fatto il resto, non contento di aver già segnato contro l’Inter, e prima ancora dei rigori il calciomane intuiva che per il Siviglia non c’era più speranza: cambiata l’inerzia della partita, spenta la propulsione andalusa, esaurita con ogni probabilità la dose di fortuna che aveva consentito a una squadra buona ma non eccelsa di vincere cinque trofei in un paio d’anni, manco fosse il Milan dei tempi d’oro. Oltre che per il risultato, Fenerbahçe-Siviglia è stata la partita più emozionante dal versante dell’onomastica, rinfoltita com’era di nomi barocchi e fantasmagorici: da un lato Jesus Navas, Diego Capel, Ivica Dragutinovic – senza contare Duda che all’anagrafe risulta Sergio Paulo Barbosa Valente; dall’altro nientepopodimeno che Edu Dracena, Mehmet Aurelio, Can Arat, Alì Bilgin, Semih Senturk, Volkan Babacan, Claudio Andres Maldonado Rivera nonché, omaggio per i napoletani che rideranno cinque minuti di fila, Kazim Kazim, con gli accenti sulle i. Infine una notazione curiosa. Se andate sul sito del Siviglia, la prima cosa che vedrete è la pubblicità alle processioni della Settimana Santa. Urge adeguarsi.
Quanto al resto, potete controllare: alla fine dell’andata ho azzeccato in scioltezza le previsioni riguardo alle partite di martedì (qualificate Arsenal, Barcellona, Fenerbahçe e Manchester Utd), sbagliando miseramente quelle del mercoledì (Roma e non Real, Schalke e non Porto – ho previsto solo il Chelsea sull’Olympiacos, bella forza). Sperando di non aver sbagliato il pronostico rosso contro l’Inter, teniamoci visti.
martedì 4 marzo 2008
Bianciardiani di tutto il mondo, unitevi!
nell'Aula Goldoniana del Collegio Ghislieri di Pavia
Luciana Bianciardi e Maria Antonietta Grignani presentano
L'Antimeridiano (vol.II)
di Luciano Bianciardi (edizioni ISBN)
Serata ghiotta: verranno proiettati spezzoni di interventi televisivi di Bianciardi, mentre Alvaro Bertani, già suo biografo (Da Grosseto a Milano: la vita breve di Luciano Bianciardi, ExCogita editore), leggerà passi dell'opera omnia bianciardiana, o bianciardesca che dir si voglia.
Gurrado seguirà la serata in prima fila
(sempre in giacca e cravatta)
orgoglioso di averla organizzata lui.
Cercate di essere più di nove.
lunedì 3 marzo 2008
Autore, autore!
Avantieri la giornata pavese di Yehoshua è riuscita più che bene. Alla presentazione di Fuoco Amico in Ghislieri c’erano duecentosessantasei persone sedute (fra le quali Silvia G) e un centinaio in piedi, tutte peraltro piuttosto comode. Fonti fededegne mi hanno riferito che all’incontro immediatamente precedente alla Mondadori di Milano c’era posto per una novantina di persone tutt’al più, mentre gran parte del pubblico spingeva per entrare ed era costretto a guardare l’autore su un monitor, tanto valeva aspettare di vederlo su Rai3. Se aggiungiamo il bel tempo e il fatto che un paio di giorni all’anno (tipo sabato) Pavia sembra bellina, è logico che Yehoshua sia rimasto colpito e ne abbia parlato da Fazio – su una rete nazionale! in prima serata!
Un capoverso d’omaggio doveroso va dedicato alla libreria Delfino, che ha organizzato l’incontro per celebrare la sua sede rinnovata. L’intervento di Yehoshua è stato il compimento, il coronamento superlativo di sedici anni di lavoro basato sull’unico comandamento che non si può vender libri come se si vendessero scatole di fagioli. L’impressione è che alla Delfino si conosca ciò che si vende, e di conseguenza si rifugge dal generico caravanserraglio promozionale (pile di bestseller, sagome dell’autore in cartone, promozioni un tanto al chilo). La prossima volta che passate in piazza Vittoria, invece di fermarmi e chiedermi se ho guardato Fazio (tanto lo sapete che guardo solo partite, specialmente se l’Inter perde), fate un salto lì dentro, uscirete probabilmente con un bel libro e sicuramente con un buon consiglio. Fine del messaggio promozionale.
Inizio del messaggio spromozionale: sarà che ho il dente avvelenato, sarà che sono prevenuto, sarà che porto scritta in fronte la mia avversione ma domenica mattina io e Silvia G nell’atto di entrare in una Feltrinelli siamo stati istantaneamente bloccati e immediatamente scacciati: “Stiamo chiudendo”. Ora, che i lombardi siano mediamente scortesi è cosa nota, che i commessi della Feltrinelli siano sempre un po’ scontrosi o quanto meno sbrigativi è ancor più noto – ne consegue che entrando in una Feltrinelli lombarda è già tanto se non si viene presi a ceffoni. Certo che ci abbiamo messo del nostro: abbiamo visto una libreria aperta e volevamo entrarci. Ogni tanto abbiamo certe pretese…
Inoltre la mitologia prevede che i commessi delle Feltrinelli non siano commessi qualsiasi, ma per lo meno laureati (in lettere e filosofia: sarebbe a dire, gente che altrimenti sarebbe disoccupata). Mi viene in mente il lontano giorno del
La sera zanardelliana
nell'Aula Goldoniana del Collegio Ghislieri di Pavia
Arianna Arisi Rota e Laura Bosio presentano
La Carovana Zanardelli
di Giuseppe Lupo (Marsilio editori).

Sarà presente l'autore.
Sarò presente anch'io, in giacca e cravatta.