lunedì 28 febbraio 2011

Fratel paracetamolo, che stanotte mi hai steso dalle undici di sera alle nove del mattino, è colpa tua se ricevo sogni – o diciamo meglio visioni – così irreali? Stanotte sono stato visitato da Umberto Eco che intonava giulivo il gradevole motivetto fascista di E.A. Mario: “Chesta terra chiena ’e sole, / chiena ’e sciure ind’e giardine, / addo’ nasceno le viole, / addo’ è nato Mussoline…”. Solo che l’aveva rimodernato secundum mores, e cantava: “Chesta terra chiena ’e sole, / chiena ’e sciure sui balcone, / addo’ naceno le viole, / addo’ è nato Berluscone…”. Fratel paracetamolo, io mi sento come se avessi inghiottito un istrice e riesco a respirare solamente con le orecchie, ma se stasera ti prendo di nuovo stanotte mi fai sognare Umberto Eco che va a Gerusalemme e dice che Berlusconi è uguale a Hitler, dimenticandosi che adesso i baffetti li porta lui?

venerdì 25 febbraio 2011

Mi ricredo; onore a Roberto Saviano, che ho sentito rivolgere ai camorristi d’ogni ordine e grado questo appello in forma d’invettiva: “Mi sembra strano che un napoletano, un uomo d’amore, possa essere così spietato contro un’altra persona da minacciarla di morte solo per motivi di danaro. Io certi alibi non li accetto. Conosco tanti disoccupati che si arrangiano, sì, ma non per questo vanno ammazzando la gente. Voi invece siete coraggiosi: la notte mettete una bomba sotto una saracinesca e vi sentite degli eroi. Magari al piano di sopra c’è un povero vecchietto che dorme e che ci rimette la pelle, ma a voi che ve ne importa? Voi siete disoccupati! Avete l’alibi morale! Siete napoletani e ammazzate Napoli: ci sono i commercianti che falliscono, le industrie che chiudono, i ragazzi che sono costretti a emigrare… E poi volevo dirvi un’altra cosa: ma, tutto sommato, non è che fate una vita di merda? Perché penso io, Gesù, fate pure i miliardi, guadagnate, però vi ammazzate tra di voi; e poi anche quando non vi ammazzate tra di voi ci sono le vendette trasversali, vi ammazzano le mamme, le sorelle, i figli… Ma vi siete fatti bene i conti? Vi conviene?”. (Non chiamate l’ambulanza, non sono impazzito. Roberto Saviano un monologo del genere se lo sogna tutt’al più; lo pronunzia invece Luciano De Crescenzo in Così parlò Bellavista. Le differenze sono due: Saviano va da Fabio Fazio invece che da Renzo Arbore; De Crescenzo non ha mai chiesto la scorta).

giovedì 24 febbraio 2011

Garibaldi, perché l’hai fatto? Le conseguenze della tua spedizione sono sotto gli occhi di tutti ed, essendo discutibili, saranno ampiamente discusse ma io per ora non entro nel merito. Piuttosto saprai sicuramente che Vallecchi ha pubblicato Contro Garibaldi di Luca Marcolivio (alloggiando verosimilmente all’inferno, ti verranno notificati soltanto i libri in cui ti si critica invece di elogiarti); ma non saprai che io, almeno fino al punto in cui sono arrivato a leggerlo, nonostante la compiaciuta acrimonia dell’autore ho trovato più titoli di merito che di biasimo. Il problema è che sei passato alla storia per le azioni secondarie e per le frasi sbagliate. Infinite lapidi ricordano le case dove hai dormito; parrebbe anzi che da Quarto a Teano, dal 5 maggio al 26 ottobre, tu abbia dormito almeno settemila notti in altrettanti letti. Purtroppo invece nessuna lapide ricorda la frase con la quale attaccasti bottone con Anita, parlandole in Italiano indipendentemente dall’evenienza che essendo brasiliana capisse o meno: “Tu devi essere mia”. Bravo, bravissimo, così fa il prototipo italiano del maschio adulto solitario. Mi ha entusiasmato ancor più ciò che hai detto alla tua biografa e amante Jessie White Mario e che lei è stata abbastanza maschilista da eternare nei suoi scritti: “Che sciocchezza, per un uomo, uccidersi per una donna, quando il mondo è pieno di donne! Quando una donna mi colpisce la fantasia, dico: ‘Mi ami? Io ti amo. Non mi ami? Peggio per te’.” Luca Marcolivio cita quest’episodio traboccando di sdegno mentre io mi sono messo a saltellare per la stanza tanta la contentezza. Garibaldi, Garibaldi, perché l’hai fatto? Se invece che a uccidere i preti avessi pensato a risalire da Marsala a Napoli soltanto seducendo donne, magari non avresti fatto l’Italia ma avresti segnato la strada per tutti gli italiani a venire. Ci avresti fatti sentire in dovere, ogni volta che una passante ci colpiva la fantasia e ci causava determinate reazioni che non sto a riferire, di avvicinarla sussurrandole discreti una parola sola: “Obelisco”.

mercoledì 23 febbraio 2011

Una valorosa giovine mi ha contattato per complimentarsi di una recensione che in realtà non era una recensione, o meglio una raccolta d’impressioni messe insieme al volo dopo avere letto la prima pagina di Anna Karenina. Iniziavo così: “Tutti i libri noiosi sono simili fra loro, ogni libro russo è noioso a modo suo”; e, poiché a parte l’incipit non ricordavo nient’altro di ciò che avevo scritto, sono andato a rileggere l’intera recensione-non-recensione che in realtà m’è piaciuta parecchio finché non sono giunto alla data eternata a fondo pagina, 11 novembre 2008. Lì mi sono fermato perché folgorato da una rivelazione: due anni fa scrivevo non so se meglio ma sicuramente robe più divertenti. E mi divertivo anche di più; come controprova, sono andato a cercare le recensioni che scrivevo a Modena nel 2006 – senza venire pagato, senza dover far nulla per buona parte del giorno, senza dover cucinare né lavare i piatti, senza dover aspettare tre mesi per vedere gli amici cinque minuti, senza limiti di spazio né di tempo, senza nemmeno ricevere i libri dagli editori ma andando a prenderli in prestito dalla biblioteca Delfini per carenza di valsente – e ho scoperto che non ho mai più scritto roba così spensierata, magari arguta, senza alcun freno alla sperimentazione (Rule Britannia viene cantata durante una recensione di Caos Calmo in cui si citano anche Max Weber, Wayne Rooney e Tertulliano) e con idee con le quali non solo tuttora concordo ma che dopo due anni a Oxford non riuscirei forse più a esprimere in maniera altrettanto efficace, brillante, appropriata; di sicuro non ne avrei il tempo, forse nemmeno l’energia. Che bel guadagno; che peccato.

martedì 22 febbraio 2011

Barzineide, parte prima. Senza bisogno degli ultimi ridondanti cinquant’anni, già subito dopo il centesimo anniversario dell’unificazione d’Italia Luigi Barzini aveva notato che il collante fra il Regno delle Due Sicilie e i grandi stati del nord s’era piuttosto asciugato e c’era rischio che il sud si staccasse per esplicita volontà di essere dimenticato. L’idea geniale (espressa timidamente in inglese, nel libro The Italians tradotto solo successivamente) è che la divisione fra nord e sud risalga a monte dell’economia e della politica, che non abbia alcuna radice storica o genetica ma che risieda nel cultural divide psicologico fra le due macronazioni che bene o male hanno composto l’Italia. Secondo Barzini il nord ha una mentalità economica, in quanto calcola tutto in termini di denaro e anche l’accumulo di potere è sempre finalizzato all’introiezione di altro denaro. Il sud, al contrario, ha una mentalità che a Barzini sembra politica, in quanto calcola tutto in termini di potere e – se proprio è costretto a faticare per arricchirsi – l’accumulo di denaro viene giustificato con la possibilità di poter meglio manifestare il proprio potere. Esempio: con la stessa identica cifra, al nord viene costruita una nuova funzionalissima caserma di carabinieri mentre al sud vengono erette statue e fontane davanti alla caserma vecchia. Io ho vissuto equamente ripartito al nord e al sud e posso certificare che Barzini ha ragione su tutto tranne una cosa: è la mentalità del sud a essere intrinsecamente economica, e lo è in maniera più sottile di quella del nord. Si basa infatti su una massima di John Maynard Keynes sovente dimenticata dagli economisti: “A lungo termine saremo tutti morti”.

lunedì 21 febbraio 2011

Bisogna capirlo, insomma, Berlusconi. Ha voluto costruire una città a sé stante che riproducesse in meglio la Milano originale e c’è riuscito. Allora, costernato, ha voluto creare un impero televisivo che agguantasse e superasse la tv di Stato rimodellando l’immaginario nazionale, e c’è riuscito. Preoccupatissimo, ha preso una squadra di calcio che cinque anni prima era in serie B e ha voluto farla diventare campione d’Italia, d’Europa, del Mondo. C’è riuscito in tre anni esatti. Allora, non sapendo più che pesci pigliare s’è lanciato in politica cercando non solo di vincere le elezioni ma di creare un sistema di potere che avesse in lui stesso il culmine e l’occhio del ciclone. Ci ha messo un po’ più di tempo ma c’è riuscito. A questo punto è precipitato nella disperazione più cupa: non gli restava nient’altro da desiderare se non l’amore (ovviamente interessato; l’amore disinteressato esiste solo nelle favolette) di tutte le donne che potevano circondarlo. Il triste destino della soddisfazione di ogni desiderio mi ha ricordato una barzelletta che ho sentito raccontare una sola volta. In una foresta un orso sta inseguendo un coniglietto (per favore, non protestate sulla verosimiglianza, non è un romanzo verista) finché quest’ultimo non inciampa in una lampada dalla quale esce un genio (non è un romanzo verista, ribadisco). Il genio concede ai due animali allibiti tre desideri ciascuno. Inizia l’orso: chiede dapprima che tutti gli orsi del mondo tranne lui diventino delle orse. Accontentato. Poi chiede che tutti gli orsi del mondo, ormai tutte orse, arrivino immediatamente nella foresta in cui si trova. La foresta si affolla all’istante. Infine chiede che tutte le orse del mondo vadano in calore. Per la foresta prende ad agitarsi un insistente e promettente brusio. Mentre l’orso inizia ad aggirarsi non sapendo da dove cominciare, tocca al coniglietto esprimere le proprie istanze. Questi domanda dapprima un casco da motociclista. Il genio è perplesso ciò nondimeno lo accontenta. Quindi il coniglietto chiede una vespa truccata. Accontentato. Resta il terzo desiderio: allora il coniglietto indossa il casco, sale sulla vespa, la mette in moto e nell’istante in cui parte a tutta velocità urla: “Voglio che l’orso diventi ricchione!”.

mercoledì 16 febbraio 2011

Fogazzareide, parte sesta. La verità, la verità: che cos’è la verità? Aveva ragione Ponzio Pilato a chiederlo e aveva ragione anche Gesù Cristo a tacere (in quanto aveva risposto qualche pagina prima: “Io sono la via, la verità e la vita”, e non c’era alcun bisogno di ripetersi). Fino a che una genia di scrittori ed editori s’è messa a berciare: “La verità, la verità”, così imponendo al pubblico bue un criterio di distinzione fra libri buoni e libri cattivi. I libri buoni sono quelli che raccontano la verità: i romanzi ispirati a una storia vera, le inchieste che dimostrano ciò che nessuno ardiva immaginare, le spifferate di Wikileaks e tutto Saviano minuto per minuto. I libri cattivi sono tutti gli altri. Io di fronte a tale roba da chiodi vengo preso dallo sconforto infinito, e meno male che giunge in mio soccorso il solito, sottovalutato Antonio Fogazzaro il quale in una lettera del 1886 (non indirizzata a me) acconsentiva sì alla presenza del vero sulla pagina scritta ma poi sentenziava amaro: “Il difficile è comporre un tutto ragionevole con questi veri presi da tutte le parti”. Allora, quando apro un qualsiasi libro che strilla: “La verità, la verità!”, alla prima incongruenza stilistica lo richiudo per sempre e mi sembra di avere trovato delle risposte plausibili da dare a Ponzio Pilato.

martedì 15 febbraio 2011

Fogazzareide, parte quinta. Io quando sento quelli che mi dicono: “Che figura ci fa fare Berlusconi, chissà come ci giudicherà la storia”, mentre loro pensano a Marco Travaglio io penso immancabilmente ad Antonio Fogazzaro (che ci volete fare, abbiamo punti di riferimento culturale inconciliabili). Interrogato sulla validità del romanzo storico, che ai suoi tempi andava di gran moda ma si dibatteva in cerca di una verosimiglianza più solida, Fogazzaro rispose: “Per me il miglior romanzo storico è il romanzo contemporaneo da cui i nostri posteri trarranno colla sana critica molti e gravi elementi del loro giudizio su di noi”. Voi che vi preoccupate di fare bella figura con posteri che non vedrete mai, sappiate che la storia non ci giudicherà su Berlusconi ma sulla qualità di ciò che hanno scritto i romanzieri riguardo a Berlusconi. E a occhio saranno quelli che Lino Banfi (che ci volete fare, sempre punti di riferimento culturale inconciliabili) chiamava volatili per diabetici.

lunedì 14 febbraio 2011

Poverine, quanto mi dispiace. Che altro dire? Io non sarò il prototipo del femminista militante ma di fronte a un evento tanto massiccio, impossibile a ignorarsi, non posso che ergere il mio sdegno a difesa della decenza, anzi a difesa della donna, delle donne (quante erano? un milione? dieci? cento?) che ieri sono state costrette a simulare pubblicamente una crisi isterica a comando, seguendo lo striscione “Indignamoci” (scritto senza la “i” perché in quanto donne hanno diritto alla creatività grammaticale, non saranno certo loro ad adeguarsi a manuali scolastici asserviti al berlusconismo imperante e magari scritti a quattro mani da Mariastella Gelmini e Alessandro Sallusti) e strillando slogan che non ho ben colto perché, confinato nella mia inferiorità maschile, essendo domenica stavo seguendo il campionato di calcio. Tuttavia non ho potuto non sapere e non ho potuto non indignarmi (anzi, se necessario, “indigniarmi”) a vedere realizzato in mille città d’Italia d’Europa del Mondo e del Sistema Solare il più mastodontico sfruttamento di corpi femminili che la storia ricordi, a scopi politici per niente limpidi, e per giunta gratis.

venerdì 11 febbraio 2011

Beati voi che siete in Italia e che potete quindi prendere l’automobile, il treno, l’elicottero, lo yacht e precipitarvi al teatro Dal Verme di Milano, dove domani mattina (ore 10:30, ingresso libero) si terrà la manifestazione “In Mutande Ma Vivi” organizzata da Giuliano Ferrara non per difendere Berlusconi, che sa difendersi benissimo da solo, ma per contestare l’esistenza di una casta di catari, la legittimità di una minoranza etica che intenda dettare le proprie ragioni a una maggioranza che non si ritiene altrettanto migliore, la nascita di un’Italia in cui ogni magistrato possa sentirsi in diritto di rovistare nelle mutande altrui (e per esperienza diretta posso testimoniarvi che nelle mutande altrui si rinviene sempre qualcosa). Io sono in Inghilterra quindi non potrò essere presente, e mi piange il cuore. Pazienza, vorrà dire che continuerò la mia quotidiana e individuale manifestazione contro quest’isola puritana come certuni vorrebbero che l’Italia diventasse; contro questa nazione che s’è disfatta di un buon ministro come David Blunkett reo soltanto di avere un’amante più bella di quella che i suoi detrattori avrebbero mai potuto permettersi; contro questa città ricca di una classe intellettuale che cerca di ficcare Berlusconi in una delle due metà della lavagna protestante divisa in buoni o cattivi – quando invece Berlusconi è chiaramente, esteticamente, etimologicamente cattolico perché vuole tutto. Se avessi potuto andare al teatro Dal Verme e avere un minuto soltanto per parlare, avrei recitato tre versetti del Nuovo Testamento, libretto validissimo benché non scritto da Saviano. San Paolo ai Romani 14, 10: “Ma chi sei tu per giudicare tuo fratello? Tutti ci presenteremo davanti al tribunale di Dio”. Giovanni 8, 7: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. E, caso mai ci fossero ancora dubbi, Marco 10, 18: “Nessuno è buono, se non Dio solo”. Infine per soprammercato aggiungerei un glorioso stornello di Giuseppe Gioachino Belli: “Ffior de limone, / si Ccristo nun perdona a le puttane / er paradiso lo po’ dda’ a ppiggione”.

giovedì 10 febbraio 2011

Viva Aldo Busi! Invitato da Alba Parietti all’ultima sua trasmissione su La7 che non so manco come si chiami, apparendo quale ospite teoricamente ignoto di là da un separé probabilmente in acciaio inox, Busi s’è sentito accogliere dalla bella presentatrice (oh, a me piace ed è sempre piaciuta) con la battuta: “Ma mi avevano detto che era un uomo!”. Al che Busi ha perso le staffe e ne aveva ben donde, perché non si può introdurre con una presentazione del genere uno scrittore come Aldo Busi, l’autore di Seminario sulla gioventù e Vita standard di un venditore provvisorio di collant che restano due dei picchi più elevati raggiunti dalla narrativa italiana contemporanea abitualmente invece lamentosa e banale (recentemente ho letto La delfina bizantina e l’ho trovato meno convincente per quanto scritto benissimo). La prosa di Busi è oggettivamente irreprensibile e ciò va oltre il fatto che sia omosessuale o che mantenga residenza fiscale a Montichiari (BS) o che si piazzi in testa un cesto di frutta e canti “La notte è piccola per noi, troppo piccolina”. E per un minuto, vedendo Busi stesso accanirsi contro la Parietti dicendo che non si può accogliere così uno scrittore come Aldo Busi (egli ha la tendenza di parlare di sé in terza persona, come Giulio Cesare e Maradona), ho sperato di assistere alla repentina rivincita della complessità letteraria sulla banalità televisiva, che deve per forza masticare tutto in formule preconcette onde preservare il telespettatore dal contatto con la realtà oggettiva presentandogliela già digerita e innocua, nella fattispecie negando che Busi sia uno scrittore da capogiro (almeno il primo Busi, io vado in ordine cronologico e per ora sono arrivato al suo terzo romanzo) e non un finocchio da operetta. La speranza però è durata un solo minuto, il tempo esatto in cui Busi paonazzo dall’ira ha strillato che lo scrittore Aldo Busi merita tutt’altro trattamento perché (parafraso, lui è stato più raffinato) è uno scrittore coi controcazzi e coi controcanguri. Dopo di che, forse anzi sicuramente infettato dall’occhio vigile e muto della telecamera, ha abbandonato la porta stretta e s’è lanciato nel pigro mainstream della lamentela omosessualista, asserendo che l’omosessualità è civiltà (perché? se io, a contrariis, vado a letto con una donna compio forse un atto incivile?) e che lui ha lottato per l’omosessualità da quando aveva tre anni e ora ne ha sessantatre (e se non avesse lottato, non meriterebbe comunque rispetto un autore sessantatreenne?), eccetera. Tuttta roba per la quale abbandonava l’orgoglio ferito e veritiero del singolo scrittore di genio che si sente ridotto a macchietta e si caricava sulle spalle la macchietta stessa di rappresentante dell’omosessualità nel piccolo schermo, ragion per cui – ma solo eccezionalmente in questa circostanza – abbasso Aldo Busi.

mercoledì 9 febbraio 2011

Io quando sento quelli che mi dicono: “Che figura ci fa fare Berlusconi, chissà come ci giudicheranno all’estero”, rispondo sempre che all’estero di Berlusconi in realtà se ne fregano, o meglio sospendono ogni capacità di giudizio razionale e lo criticano per sentito dire, basta leggere gli articoli in questione e notare che sono la traduzione di un collage di pezzi della stampa progressista che poi a sua volta ritraduce il tutto in Italiano a riprova del grande sdegno suscitato da Berlusconi in ogni angolo del globo. Rispondo anche che chi lo critica d’abitudine, come fa la stampa inglese, lo critica basandosi su un cliché anti-italiano che si ripercuote ben oltre Berlusconi e affonda le proprie radici ben prima di lui. Ma d’altronde cosa posso saperne dell’estero io che vivo in Inghilterra e non godo della prospettiva privilegiata che hanno loro dall’Italia?

martedì 8 febbraio 2011

A differenza dei progressisti, a me capita di tanto in tanto di sbagliare (ma chi mi credo di essere? Christina Aguilera?) e in tal caso, senza particolari patemi, lo ammetto e ritratto. Il paragrafo che si trova qui sotto rientra nel novero dei miei errori concettuali; roba di poco conto, che non toglie tuttavia che l'elezione della Minetti sia formalmente regolare. Non toglie nemmeno che sul sempre più imbarazzante facebook mi sia stato detto che in questa circostanza ho voluto chiudere gli occhi "quando è in atto un crimine", e che alla mia domanda sull'entità specifica del crimine mi sia stato risposto "ovvio, non è un crimine", o meglio che di crimine metaforico si tratta. Questi italiani, sempre troppo impegnati con le pagliuzze per accorgersi delle travi. L'unica consolazione è che quando a un errore occasionale si scatena la muta dei mediocri, abituati da tempo a tacere e inghiottire, si può star sicuri che il resto che si è scritto è tendenzialmente vero.

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Allora, questa Nicole Minetti: riesce a fare girare la testa anche a chi non la sopporta. [Di qui in poi ciò che scrivo è fasullo] Ho notato che il progressista medio, quando vuole muovere una critica a questo reo secolo, porta avanti sempre due esempi in parallelo. Uno è Nicole Minetti. L’altro è la legge elettorale, che senza preferenze non consente di eleggere i propri rappresentanti in parlamento ma li fa nominare con oscuri magheggi da un’oligarchia composta in buona sostanza da tre persone che iniziano con la B. E l’esempio classico a questo punto, caschi il mondo, è proprio Nicole Minetti: che solo per essere stata l’igienista dentale (non già mentale) di Berlusconi, per non dir peggio, ha ottenuto un seggio pronto alla regione Lombardia; non fa una grinza. Qui casca l’asino, cioè il progressista: perché la regione Lombardia, così come ogni regione d’Italia, elegge i propri rappresentanti esprimendo regolare preferenza. Quindi Nicole Minetti è stata votata dagli elettori che hanno scritto il suo nome sulla scheda e non dagli oscuri magheggi di chi s’è limitata a candidarla. Se gli elettori non avessero messo la croce sul simbolo e non avessero scritto “Minetti” a caratteri stampatelli, non ci sarebbe nessuna Nicole Minetti al parlamentino longobardo. All’inverso, se per assurdo una trota venisse candidata al consiglio regionale della Lombardia e i lombardi si precipitassero in massa a votare per essa, la trota avrebbe pieno diritto di sedere nel consiglio regionale della Lombardia. [Di qui in poi ciò che scrivo è veritiero] Nulla da eccepire se non, dal mio punto di vista, questo: va bene la mamma inglese, va bene che erano gli anni ’80, ma esistono davvero preti che accettano di battezzare una bambina Nicole?

lunedì 7 febbraio 2011

Domenica mattina, cielo nuvoloso, temperatura bassa, vento insistente. Mi avventuro al centro, compro l’Observer, decido di andare a leggerlo alla libreria Blackwell’s che ospita un Caffe Nero (si scrive così, senza accento sulla “e”, e lo slogan dell’azienda vanta di produrre il miglior caffè a nord di Milano). Il caffè è oggettivamente discutibile ma il luogo è gradevole, se e quando si riesce a trovarvi un posto, ragion per cui mi metto in fila, ordino un macchiato e non lo pago (sarebbe una sterlina e quarantacinque, da quando hanno aumentato l’iva) perché ho la tessera fedeltà che trabocca di timbri a forma di chicco. Mentre mi accomodo, prima di aprire il quotidiano, mi accorgo che a un tavolino poco distante siede un fellow del mio stesso college: ha una trentina d’anni più di me e non me ne sovviene il nome, anche se qualche volta abbiamo chiacchierato a pranzo e ricordo distintamente che insegna storia medievale oppure biotecnologie farmaceutiche. Rapido cenno di saluto. Finito di leggere il giornale, mi alzo e esploro qua e là la libreria, in particolar modo i settori abitualmente negletti – storia, sociologia, filosofia – e al settore di letteratura greca antica rivedo lo stesso fellow che sfoglia un volume a caso. Ha ancora circa trent’anni più di me. Secondo cenno di saluto. Esco dalla libreria, faccio due passi, dopo di che mi dico che visto che sono in giro tanto vale andare a comprare il dentifricio che sta per finire; entro da Tesco, il supermercato popolare, e allo scaffale delle verzure scorgo il medesimo fellow, intento a consultare un radicchio. Ha sempre trent’anni più di me. Gli elargisco un terzo cenno di saluto e poi, all’atto del pagamento, a stento mi trattengo dal domandare alla cassiera: facciamo altri trent’anni di domeniche così?

venerdì 4 febbraio 2011

Lasciate che i fanciulli vengano a me, diceva uno di cui mi sfugge il nome, e dopo essermi per anni sforzato di comprendere il perché di questa predilezione – prima da fanciullo e poi da ex fanciullo – l’ho finalmente capita ieri osservando attentamente la sequenza fotografica del pargoletto con maglioncino multicolore che ha eluso la security vaticana per raggiungere la poltrona dove il Papa stava tenendo la sua udienza del mercoledì (fra parentesi, cari giornalisti di un quotidiano che si chiama come un noto dialogo di Platone, anzi, cari estensori delle didascalie delle foto: vi rendete conto di quanto faziosa e antievangelica sia stata la vostra versione dell’accaduto? A che pro specificare che un cenno di monsignor Gaenswein ha impedito alle guardie svizzere di intervenire? Vi aspettavate, speravate forse, che vedendo un bambino correre dal Papa le guardie svizzere gli si sarebbero avventate sopra per affettarlo mulinando le alabarde?). Comunque, ho finalmente capito perché è preferibile che i bambini vadano a lui e gli altri prendano esempio: appena arrivato di fronte al Papa il bambino, sicuramente non istruito al riguardo ma istintivamente consapevole del rispetto nei confronti del sovrumano, gli si è inginocchiato davanti come per secoli hanno fatto tutti gli uomini al passaggio dei pontefici. Non gli ha mica scattato una foto col telefonino.

giovedì 3 febbraio 2011

La barzelletta, do per scontato che già la conosciate (Prodi e Di Pietro vengono sequestrati da una tribù di selvaggi, il cui capo propone loro l’alternativa fra “bunga bunga” e “a morte”. Prodi, coraggioso al solito, opta per il “bunga bunga” e viene brutalmente sodomizzato dall’intera tribù. Viene quindi posto di fronte alla stessa alternativa Di Pietro il quale, furbissimo al solito, terrorizzato dal “bunga bunga” sceglie senza esitazione la morte. Al che il capo dei selvaggi gli accorda: “Va bene: prima bunga bunga e poi a morte”), e vabbe’. Poi l’altro giorno, durante una festa, gli salta in mente di dire che lui e il pianista sono stati protagonisti di migliaia di “bunga bunga”: quello suonava e lui cantava. E vabbe’. Poi, a festa finita, prima che gli amici se ne vadano a quanto pare acchiappa un microfono e proclama: “E adesso, bunga bunga per tutti: offro io!”. Per una curiosa circostanza, proprio ieri m’è caduto l’occhio su una frase profetica di Aldo Busi, risalente a La Delfina Bizantina, 1986: “Gentili ascoltatori, il programma vi è stato offerto dalla Grappa Tuber lusconi, al famoso spirito di patate”.

mercoledì 2 febbraio 2011

“In virtù dei poteri conferitimi non sciolgo le camere, visto che a quanto pare c’è ancora un governo che sembra addirittura avere una politica economica da portare avanti per intervalla insaniae. Invito anzi l’opposizione a collaborare per quel che può e che sa, tentando di recuperare il tempo perduto già cinque anni or sono, quando ancora non ero responsabile di questa situazione; quando a seguito delle consultazioni politiche del 2006 un sostanziale pareggio era stato interpretato come vittoria insidacabile e la mia stessa elezione aveva testimoniato la volontà di non cooperare a un governo di necessarie larghe intese, che ci avrebbe fatto guadagnare tempo e soldi e che ci avrebbe condotti a votare quest’anno secondo la scadenza naturale della legislatura risparmiandoci tutto lo sfaccimme capitato nel frattempo. In virtù dei poteri conferitimi indico tuttavia immediate elezioni per una nuova assemblea costituente, composta di cento membri eletti in ragione di quota proporzionale pura, ossia che a tanti voti in percentuale coincidano altrettante teste nell’assemblea; per la quale non potrà candidarsi chi al contempo ricopra incarichi di governo o di legislazione a livello nazionale o locale. L’obiettivo di quest’assemblea sarà di procedere a una radicale revisione del sistema Italia non riformando ma ignorando del tutto la vigente costituzione dalle aspirazioni vaghe e dalla sintassi incerta, facendone tabula rasa onde stabilire poche, sintetiche regole (come ad esempio che è consentito tutto ciò che non è proibito dalla legge, senza inciampare in lacci e lacciuoli) così che vengano e possano venire rispettate da tutti. Personalmente auspico una più chiara divisione fra i poteri esecutivo e legislativo, come appurato da duecentocinquant’anni in tutto il mondo civile tranne questa nostra amata ma peculiare penisola dove si può essere ministri e votare da parlamentari a favore (o contro) i propri stessi decreti, e soprattutto una chiara definizione di ruoli e limiti del potere giudiziario, i cui correnti effetti sono sotto gli occhi di tutti e di questo passo gli effetti saranno sempre di più e gli occhi sempre di meno. Detto questo, vi saluto e corro a indossare la maglietta di Maradona unitamente a una parrucca riccioluta onde ritirarmi nelle scuderie del Quirinale e bearmi del ruolo di padre della patria da me assunto in questo momento”. Abbiamo trasmesso il discorso che Giorgio Napolitano non potrà mai tenere.

martedì 1 febbraio 2011

Lo sapevo, sarebbe venuto fuori qualcuno a dire che dipende dalla legge elettorale. Apposta per questo avevo evitato di specificare che nelle elezioni che ho citato si è votato con tre sistemi diversi: proporzionale secca nel 1992, uninominale dal 1994 al 2001, proporzionale con premio di maggioranza dal 2006 in poi. In tutti i casi le elezioni hanno prodotto l’ingovernabilità, e sono sicuro che il risultato sarebbe lo stesso con qualsiasi altro sistema, ivi inclusi il doppio turno alla francese e il palo della cuccagna. E, sapevo anche questo, sarebbe saltato fuori qualcuno a dire che è un problema degli ultimi vent’anni e quindi non è colpa della costituzione. Non è vero. Questi che ho citato sono fra i governi più longevi nella storia della repubblica, quindi il problema c’era anche prima ed è intrinseco. La differenza è che la costituzione, comprensibile reazione isterica al fascismo, ha avuto un senso nei primi trenta o quarant’anni quando lo scopo del sistema politico che era volta a creare consisteva nell’impedire a qualcuno di governare esagerando. Ora che il fascismo è dimenticato se non da pochi ottusi (da ambo i lati) e che la necessità di impedire l’esercizio del governo non è più particolarmente pressante, risulta evidente che nel 1948 è stato sottoscritto il design fault di questa nazione.